Era solo questione di tempo!
La notizia che oggi appare sui giornali locali e nazionali dell’aggressione aggravata ai danni di un richiedente asilo non ci stupisce affatto; semmai ci rende ancora più consapevoli delle nostre convinzioni più volte manifestate in questi ultimi anni.
La gravità del fatto e l’efferatezza dell’aggressione (il giovane indifeso prima insultato per il colore della sua pelle, inseguito e investito con l’auto e poi picchiato ed accoltellato) palesa un modo di pensare che ormai nella nostra società è diventato struttura; pensieri e parole di cui i rappresentanti istituzionali, anche di alto livello, si servono quotidianamente per sfruttare una condizione di disagio economico e culturale all’unico scopo di accrescimento del loro potere.
E’ ora di chiedersi, cittadini, istituzioni, forze dell’ordine, mondo politico e associativo, intellettuali (dove siete?) se oramai siamo pronti a negare quell’oggetto che ci sembra così sacrosanto in occidente, solo per chi ci è nato ovviamente, che si chiama “diritto alla vita”.
Siamo pronti quindi in nome della sicurezza, della difesa dei confini, dell’identità della razza a sacrificare il “diritto alla vita” (altrui)?
Mi pare di ricordare che questa escalation sia già avvenuta nello scorso secolo e che i risultati siano oramai verità storica inoppugnabile.
Il mea culpa non può avvenire solo nei giorni deputati dal calendario istituzionale; mille lezioni nelle scuole ai ragazzi sui danni dell’indifferenza sono rese vane da un gesto folle come quello raccontato dalle cronache di oggi!
Questo atto di accusa quindi non è solo contro l’aggressore della povera vittima, ma anche contro il pensiero di una società e di uno stato che si reputa “civile” il quale si appresta a fare accordi per il contenimento dei flussi migratori con paesi guidati da capi di stato che non garantiscono il rispetto dei diritti umani (non abbiamo forse consegnato i profughi dell’Oriente alla Turchia?).
Il nostro pensiero quindi è che nessuno si salva da solo e che solamente riportando la questione su un livello di uguaglianza dell’accesso ai diritti potremo uscire da questo stato di inciviltà.
Comunicato stampa
ANPI
La notizia che oggi appare sui giornali locali e nazionali dell’aggressione aggravata ai danni di un richiedente asilo non ci stupisce affatto; semmai ci rende ancora più consapevoli delle nostre convinzioni più volte manifestate in questi ultimi anni.
La gravità del fatto e l’efferatezza dell’aggressione (il giovane indifeso prima insultato per il colore della sua pelle, inseguito e investito con l’auto e poi picchiato ed accoltellato) palesa un modo di pensare che ormai nella nostra società è diventato struttura; pensieri e parole di cui i rappresentanti istituzionali, anche di alto livello, si servono quotidianamente per sfruttare una condizione di disagio economico e culturale all’unico scopo di accrescimento del loro potere.
E’ ora di chiedersi, cittadini, istituzioni, forze dell’ordine, mondo politico e associativo, intellettuali (dove siete?) se oramai siamo pronti a negare quell’oggetto che ci sembra così sacrosanto in occidente, solo per chi ci è nato ovviamente, che si chiama “diritto alla vita”.
Siamo pronti quindi in nome della sicurezza, della difesa dei confini, dell’identità della razza a sacrificare il “diritto alla vita” (altrui)?
Mi pare di ricordare che questa escalation sia già avvenuta nello scorso secolo e che i risultati siano oramai verità storica inoppugnabile.
Il mea culpa non può avvenire solo nei giorni deputati dal calendario istituzionale; mille lezioni nelle scuole ai ragazzi sui danni dell’indifferenza sono rese vane da un gesto folle come quello raccontato dalle cronache di oggi!
Questo atto di accusa quindi non è solo contro l’aggressore della povera vittima, ma anche contro il pensiero di una società e di uno stato che si reputa “civile” il quale si appresta a fare accordi per il contenimento dei flussi migratori con paesi guidati da capi di stato che non garantiscono il rispetto dei diritti umani (non abbiamo forse consegnato i profughi dell’Oriente alla Turchia?).
Il nostro pensiero quindi è che nessuno si salva da solo e che solamente riportando la questione su un livello di uguaglianza dell’accesso ai diritti potremo uscire da questo stato di inciviltà.
Comunicato stampa
ANPI
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