Rinascita Culturale: "Vabbè sono stato male pure io, ma poi passa"
Un questionario per aiutare i giovani dai problemi della pandemia
“Wee usciamo?!” “Se..usciamo..” “Dai vatti a vestire!” “Ma dove andiamo!?!? A fare che? Con chi? Perché?” “Ma ci andiamo a divertire!” “Ah te vuoi fare la baldoria!” “Seee” “Io no, e non mi va.” “Ma come no?!” “No, anzi sai che è? Statten a casa. Un bel filmetto, tisanina e Kinder Fetta al Letto”.
Quel che oggi a tutti appare come un reel di Tik Tok divertente, in realtà non lo è affatto. Se ci si sofferma per qualche minuto si può notare la rappresentazione perfetta di una normalità alla quale, con più o meno sofferenza, ormai ci siamo abituati. Perché, anche se dovevamo uscirne più forti, abbiamo creato uno stigma sociale per il quale preferiamo restare a casa piuttosto che uscire.
Era appena iniziato il 2020 e mentre tutti conducevamo delle vite più o meno ordinarie, godendo delle libertà e di tutte le comodità della quotidianità, quasi date per scontato, non eravamo ancora in grado di accorgerci che ben presto tutto questo ci sarebbe stato strappato via. Così, da marzo 2020 la popolazione mondiale si è vista costretta a cambiare la propria realtà, adattandola a nuove condizioni previste per contrastare, quanto più efficacemente possibile, un pericolo altamente mortale e che nessuno sapeva bene come fermare: la pandemia da Covid-19. Tuttavia, nei mesi a seguire, tra slogan riparatori quali “Andrà tutto bene” e finte espressioni di vicinanza comunitaria, create attraverso flashmob sui balconi delle case, incominciano a manifestarsi le prime conseguenze psicologiche dovute alla paura di contrarre il virus stesso e all’incertezza per il futuro. Tra una restrizione e una concessione fittizia, c’è chi inizia a cedere, tra cui operatori sanitari che si sentono presi in giro, lavoratori che vedono altamente compromesso il loro impiego, famiglie che risentono del proprio equilibrio interno, anziani, ma soprattutto giovani e bambini. Quel clima di speranza che si sperava di infondere, viene ben presto sostituito da grida di aiuto, talvolta drammatiche, di chi non ce la fa più. Comincia così una guerra silenziosa e angosciante che coinvolge più parti all’interno di un processo: la percezione della pericolosità del virus, il rifiuto del suo riconoscimento, la difesa della sua esistenza. Il risultato ha luogo nella pandemia psicologica che intacca le sue prime vittime, con ben poche disposizioni immateriali per fronteggiarla. Stress, ansia, depressione, frustrazione e incertezza irrompono rumorosamente nelle persone, sgretolando definitivamente in mille pezzi il fantoccio di armonia sociale. La richiesta di maggiori informazioni riguardanti la pandemia a portato i media a concentrarsi su tale fenomeno al punto da provocare la perdita della speranza nei giovani che ormai non trovavano più risposte effettive e rassicuranti.
All’interno di questo scenario caotico ci sono loro, i giovani che all’interno del nuovo sistema scolastico di didattica a distanza iniziano a sentirsi soli, ad essere incredibilmente annoiati, sempre meno spronati a interessarsi a nuovi argomenti o materie perché tanto “mentre c’è la lezione possono stare su Instagram”. I rischi legati al sovra utilizzo dei media e legame continuo e morboso con gli schermi, sono estremamente debilitanti. Il tutto però li fa sentire frustrati, se infatti all’inizio della pandemia avevano risposto in maniera adattiva come tutti gli altri, ora non sanno quanto potrà durare e tutto questo non fa che accrescere forte stress in loro. C’è chi rischia l’anno anche da casa e chi subisce ancora di più le conseguenze negative. Chi inizia a soffrire di insonnia, di depressione, dei primi sintomi di stress post traumatico. Inoltre, vengono accusati del dilagarsi della pandemia perché “loro non riescono a stare a casa, quando è così semplice”. Privati di occasioni di svago, dallo sport alla semplice uscita con amico, ben presto vengono inseriti in una bolla di “solitudine disabilitante”, mentre nessuno vede (The psychological impact of COVID-19 on the mental health in the general population).
Nel 2021 l’Ordine Italiano degli Psicologi dichiara l’aumento dei casi di depressione del 28% e di quelli di ansia del 26%, ma ancora, l’Osservatorio Nazionale dell’Adolescenza afferma che nell’ultimo anno il 25% degli studenti ha sperimentato episodi depressivi, il 20% problematiche legate all’ansia. Secondo il report Unicef 2021, un adolescente su sette tra i 10 e 19 anni ha avuto una diagnosi di disturbo mentale. Ne consegue quindi che i giovani sono sempre più depressi e stanchi: se prima la situazione riguardava pochi, ora vi è un grosso aumento dei disagi e disturbi psichiatrici in età pediatrica e adolescenziale. Depressione, Ansia, Disturbo Ossessivo Compulsivo, Disturbi Sessuali e Alimentari sono tra quelli che più comunemente vengono riportati (La Repubblica). “Vabbè ma sono stato male pure io, ma poi passa” è quel che in molti ragazzi si sono sentiti dire da adulti, affermazione che li ha portati a percepire ancora più isolamento e soprattutto a non sentirsi capiti, a vivere il lockdown in maniera estremamente negativa, a sentirsi svuotati, intrisi in vortici di apatia.
Molti giovani faticano tutt’ora a capire che cosa stia succedendo, forse proprio perché le informazioni che ricevono sono totalmente scorrette, cariche di contenuti che non fanno altro che accrescere sentimenti di paura già esistenti, paura verso il futuro, paura verso qualcosa che è ignoto. Molti si chiedono addirittura il perché della loro esistenza, non trovano un motivo per cui vivere. Sono totalmente disincentivati, disinteressati a riscoprire passioni o addentrarsi in qualcosa di nuovo. Il paradosso risiede proprio nel fatto che non ne hanno colpa, sono stati confinati silenziosamente in una bolla entro la quale fa comodo e risulta facile controllarli. Ma ciò che non si vuole ammettere, è proprio che questa bolla di apatia non fa altro che consumarli giorno dopo giorno, strappando loro la frivolezza e capacità di sognare, tipica dell’adolescenza. Li si vuole pronti, reattivi, capaci di responsabilizzarsi di una situazione ormai abitudinaria, per cui nessuno sa bene quanto ancora durerà. Li si vuole grandi, pretendendo che va bene così se alcuni di loro non hanno nemmeno potuto vivere quelle fasi regolari del ciclo di vita adolescenziale. Li si vuole semplicemente adulti, ma poco importa se nessuno ha fornito loro delle linee guida per farlo. Poco importa se alcuni di loro stanno venendo logorati da mostri interiori di cui non sono padroni e che ben presto finiranno per nutrirsi completamente di loro. Sono abbandonati a se stessi, in un mondo che ormai non è pronto a crescerli come risorse.
In molti hanno affermato che sentirsi semplicemente ascoltati da qualcuno possa aumentare in loro la sensazione di non essere soli. Chi ha dichiarato di aver chiesto aiuto ad uno psicologo, ha riferito di aver ottenuto benefici e miglioramenti, drammaticamente però non tutti possono permetterselo. Inoltre, non è così immediata la richiesta di aiuto, in quanto in tanti ancora vivono lo stigma dello psicologo per il quale “se ci vai sei solo un debole”. In seguito ad alcune occupazioni di licei italiani è emerso proprio questo, ossia che i giovani chiedono interesse nei confronti del loro benessere psicologico, da parte degli istituti scolastici, perché così non ce la fanno più e non hanno gli strumenti per crescere (VDNews). Essi vogliono essere valorizzati nelle loro peculiarità e inclinazioni, al fine di diventare parte di un sistema che faccia dialogare tra loro istituzioni scolastiche, lavoro, politica ed economia e che gli fornisca strumenti adeguati per assumere un ruolo attimo nella costruzione del loro futuro. Supporto sociale, maggiore inclusione sono importanti fattori protettivi che possono aumentare la resilienza psicologica dei giovani, ossia la capacità di supportare o recuperare il benessere psicologico durante o dopo aver affrontato condizioni disabilitanti stressanti.
Occorre sensibilizzare studenti, ma soprattutto professori e genitori per fare la differenza. Se non si interviene ora, si rischia di perdere un’intera generazione. Per questo motivo, il team di psicologia dell’Associazione Sammarinese Rinascita Culturale ha deciso di lanciare un questionario anonimo, indirizzato proprio a studenti delle superiori e cfp, insegnanti e genitori sammarinesi. Questo questionario, compilabile attraverso il link, servirà al team come base di interventi mirati per aiutare i ragazzi e non solo.
c.s. Dott.ssa Margherita Gorrieri, laureata in Psicologia del Ciclo di Vita e dei Contesti e socia dell’Associazione Rinascita Culturale
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