Testimoni di Geova: precisazione sulla vicenda della 'perseguitata’ a Rimini
Ci rattrista molto che l’articolo attribuisca a una confessione religiosa riconosciuta dallo Stato una condotta gravemente riprovevole (se non addirittura criminosa) sulla sola base delle accuse di una fuoriuscita ostile e senza accertare la “verità sostanziale” dei fatti. “Nessuna Chiesa”, osservò John Locke, “è tenuta, in nome della tolleranza, a mantenere nel suo seno chi, pur ammonito, si ostina a peccare contro le leggi stabilite in quella società. Infatti se si permettesse di violare impunemente quelle leggi, la società si scioglierebbe, dal momento che esse sono le condizioni di sussistenza delle comunità”. Quando cercano di recuperare una “pecora smarrita” che, nonostante l’amorevole aiuto offertole, è determinata a vivere in contrasto con i valori della confessione, i Testimoni di Geova si vedono costretti a prenderne rispettosamente le distanze. Tuttavia saranno sempre disponibili a riaccoglierla qualora lei si ravvedesse. L’assenza di “qualsiasi profilo discriminatorio” nel comportamento dei Testimoni di Geova nei confronti dei fuoriusciti è stata ribadita nuovamente – per l’ennesima volta – da una sentenza dalla Corte di Cassazione del 2017 (n. 9561/17). La Corte ha affermato che “i diritti fondamentali della persona” sono “di certo non intaccati dalla libera scelta di alcuni soggetti, o anche da una categoria di soggetti, di non avere o interrompere dei rapporti sul piano personale”. “Se sto alla mia esperienza di cronista”, scrisse Vittorio Messori, “poche cose sono fuorvianti come le accuse alla sua antica organizzazione da parte di chi è uscito sbattendo la porta. […] Sta di fatto che, nel mio lavoro di giornalista, non mi sono mai fidato né di questi né di altri pentiti: per esempio, dei gruppi, assai affollati, di ex-[Testimoni di Geova]”.