Togliamoci le maschere
Oggi, nella chiesa di San Francesco in città, presieduta da Don Luca Bernardi su incarico del vescovo, si è celebrata la Santa messa, in preparazione al Natale per le scuole superiori. È un gesto bello, significativo, dentro una tradizione che, piano piano, ha ridato a questo momento il suo significato autentico. Non solo festa degli auguri, ma riconoscimento nella libertà di partecipazione di alunni, docenti e personale ausiliario, di ciò che la nostra Repubblica ha di più caro: le radici cristiane che si ritrovano nell’avere un santo come fondatore. E la liturgia in preparazione del Natale è stata celebrata nella Chiesa che, agli inizi del secolo scorso, ha avuto come ospite illustre san Massimiliano Maria Kolbe, il martire che Giovanni Paolo II ha definito come patrono di quel difficile secolo (e che credo abbia ancora da indicare una strada possibile per questo nostro XXI secolo, già così provato, dai suoi inizi, da drammi e tragedie immani). Aiutati da Don Luca abbiamo potuto riconoscere il valore indispensabile della verità e della sua ricerca, così necessaria per il cuore dell’uomo soprattutto nel periodo affascinante della sua giovinezza, quando l’educazione ha di mira di farci incontrare il volto di ciò che il cuore ricerca con passione e che per noi ha un volto di carne, il Neonato Redentore. Al termine della celebrazione il Preside della Scuola Superiore ha preso la parola per porgere a tutti i suoi auguri e i suoi ringraziamenti. Prendendo spunto dalle mascherine che coprivano il volto di tutti, ha potuto affermare che questa situazione di pandemia in qualche modo ci ha costretto a togliere quelle maschere che nascondono la nostra verità, quello che vive nei nostri cuori, e che ha bisogno di essere sostenuta in quel cammino morale che è lo scopo di una autentica educazione. In questo modo mi pare che il cammino della verità e della sua ricerca abbia trovato il sostegno di un gesto che mette insieme chi ha a cuore il bene dei nostri giovani. E queste parole mi hanno ricordato quanto in questi giorni mi è capitato di leggere, e che aprono a un cammino di responsabilità e di creatività senza paragone. Ascoltate quello che ha scritto Joseph Ratzinger per invitare a un impegno di umanità libera e ragionevole. «È diventato evidente che la crisi della storia della libertà, nella quale oggi ci troviamo, è motivata da un concetto di libertà non chiarito e unilaterale. Da una parte si è isolato il concetto di libertà falsificandolo: la libertà è un bene, ma lo è solo in unione con altri beni, con i quali costituisce una totalità inscindibile. Dall’altra si è ristretto il concetto di libertà ai diritti individuali di libertà e lo si è così privato della sua verità umana.» Allora ecco la riflessione sulla libertà e il suo aspetto di originalità, se incontra la verità come suo fondamento: «La libertà è legata a un criterio, al criterio della realtà, alla verità. Libertà di autodistruzione o di distruzione dell’altro non è libertà, ma la sua diabolica parodia. La libertà dell’uomo è libertà condivisa, libertà nell’essere insieme di libertà che si limitano reciprocamente e in tal modo si sostengono l’un l’altra: la libertà deve commisurarsi a quello che io sono, a quello che noi siamo, altrimenti si sopprime da sé medesima. Ma con ciò arriviamo ora a una correzione essenziale del superficiale concetto di libertà oggi largamente dominante: se la libertà dell’essere umano può consistere solo nell’ordinato essere insieme di libertà, allora ciò significa che ordine, diritto, non sono concetti opposti alla libertà, ma la sua condizione; anzi, un elemento costitutivo della libertà stessa. Il diritto non è una limitazione della libertà, ma la costituisce. L’assenza di diritto è assenza di libertà.» Così si capisce, attraverso l’esempio che lo stesso Ratzinger fa, quanto ci è richiesto per toglierci ogni maschera di qualunque ideologia: «Vorrei chiarire il problema di questa comprensione della libertà con un esempio concreto, che al tempo stesso ci può aprire la strada a una concezione adeguata della libertà. Penso alla questione dell’aborto. Nella radicalizzazione della tendenza individualistica dell’illuminismo l’aborto appare come un diritto di libertà: la donna deve poter disporre di sé stessa. Essa deve avere la libertà, sia che voglia mettere al mondo un bambino sia che voglia disfarsene. Deve poter decidere di sé stessa, e nessun altro può imporle dall’esterno – così ci viene detto – una norma ultimamente vincolante. Ne va del diritto di autodeterminazione. Ma veramente la donna, nell’aborto, decide di sé stessa? Non decide essa in realtà di qualcun altro, del fatto che ad altri non debba essere concessa nessuna libertà, che a lui lo spazio della libertà – la vita – debba essere tolto, perché entra in concorrenza con la mia propria libertà? E quindi è da chiedersi: che cosa è veramente questa libertà, ai cui diritti compete di eliminare subito fin dall’inizio la libertà di un altro?»
Don Gabriele Mangiarotti