Non è la prima volta che assistiamo alla diffusione di notizie volutamente distorte, ideate per creare confusione o cattiva informazione intorno al tema dell’aborto. Diventa spiacevole quando chi le diffonde è un sacerdote. Andiamo con ordine. Il quesito referendario proposto da UDS prevede per la donna la facoltà di interrompere la gravidanza, come scelta personale e con la dignità di essere senziente e consapevole, entro il limite preciso della 12ª settimana di gestazione - o 3° mese di gravidanza - quando a livello clinico si parla di “embrione”. Questo primo punto del quesito è in linea con la legge 194 che nel 1978 rese legale l’aborto in Italia. La scelta di allineamento con la vicina Italia è stata fatta proprio per evitare differenze tali da spingere le italiane a venire a San Marino per l’interruzione volontaria della gravidanza. Questa prima parte del quesito afferma il principio di autodeterminazione della donna in campo riproduttivo e respinge ogni altra concezione della donna, inclusa quella che vede il suo corpo “al servizio” della collettività, del maschio, della Chiesa o dello Stato. La seconda parte del quesito è l’esatta trasposizione dell’art. 6 della 194 italiana. In tutte le legislazioni dove l’aborto è legalizzato, è prevista la possibilità, anche dopo la 12ª settimana, di interrompere la gravidanza in quelli che sono definiti “casi limite”. Nel caso del nostro quesito, i casi limite sono due: quando vi sia pericolo per la vita della donna o in presenza di anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna. Cosa significa? Il primo caso limite afferma un principio scontato che più scontato non si può: la vita di una donna va tutelata e salvaguardata sempre, senza se e senza ma. Non ci sarebbe neanche bisogno di scriverlo, ma paradossalmente bisogna ancora esprimere questo principio, soprattutto a San Marino, dove vige ancora la barbarie di una legislazione che considera l’aborto un reato anche quando è praticato per salvare la vita della donna. Se si ponesse un limite preciso entro cui è possibile salvare la vita della donna - ad esempio entro la 20ª settimana di gestazione - persisterebbe il concetto secondo cui, dopo tale limite, la vita della donna non sia più da tutelare. Infine, una volta per tutte ed in maniera molto chiara, affermiamo che l’aborto non esiste se la vita della donna è in pericolo ed il feto può nascere e sopravvivere! Se una donna è in pericolo di vita ed il feto è in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno - ed in genere questo è possibile già dal 6-7° mese di gestazione grazie alla medicina moderna - il personale medico si adopererà per salvare la donna e contemporaneamente il feto, procedendo ad un parto. In questi casi il parto prematuro è, di fatto, una interruzione della gravidanza. In caso di gravi malformazioni del feto, con gli attuali screening prenatali, particolarmente all’avanguardia a San Marino, una eventuale scelta (perché di scelta si tratta, non di imposizione) verrà fatta nel secondo trimestre, non certamente a fine gravidanza. Insinuare che l’aborto sia possibile “fino al termine della gravidanza” per dirla con le parole del sacerdote, insinuare che ci siano medici che, nel tentativo di salvare la donna, eseguano parti prematuri per poi “sgozzare” il feto nato vivo, denota una profonda ignoranza in materia o, peggio ancora, una immensa malafede. Infine, al sacerdote diciamo che non abbiamo proprio alcuna “maschera” perché il nostro Referendum è proprio per la depenalizzazione dell’aborto: il nodo centrale è abolire quella parte del Codice Penale che prevede il carcere per chi abortisce e stabilire i limiti entro i quali è consentito farlo. Un sacerdote dovrebbe al limite occuparsi della condanna morale di ciò che ritiene “peccato”, ma pretendere di mettere becco nel Codice Penale di uno Stato laico ci sembra il vero delirio.
Unione Donne Sammarinesi