L'allarme bomba al centro commerciale 'Le Befane' del 26 dicembre scorso, rivelatosi poi privo di fondamento, è partito da un numero di cellulare clonato. Le indagini hanno permesso di appurarlo perché quando è stata fatta la chiamata alle 'Befane' per segnalare la presenza di un ordigno, il telefonino e la sim corrispondenti erano sotto sequestro della polizia postale di una città siciliana. Quindi il cellulare era per forza di cose spento. L'apparecchio, intestato a un ragazzino, era stato sequestrato perché nei giorni precedenti, sempre da quel numero, erano partiti altri allarmi analoghi, per segnalare la presenza di bombe in luoghi pubblici di diverse città italiane. Una volta rintracciato, di fronte alla richiesta di spiegazioni dei poliziotti, il proprietario si era dichiarato innocente, sostenendo di non essere stato lui a fare quelle chiamate. La versione in un primo momento può essere sembrata la classica scusa ma, visto quello che è accaduto successivamente, ha iniziato a prendere quota l'ipotesi che il giovane stesse dicendo la verità. Ora il sospetto è indirizzato a qualcuno, tra i conoscenti del giovane siciliano, che può aver clonato il numero attraverso un software scaricato su internet per poi utilizzarlo al fine di prendersi gioco del ragazzo. Si tratterebbe quindi di un episodio di cyberbullismo. E i responsabili, una volta identificati, oltre a questo reato dovranno rispondere anche di procurato allarme. La telefonata partita il 26 dicembre al centro commerciale riminese, era stata preceduta da una chiamata molto simile solo tre giorni prima, poi risultata provenire da un'utenza diversa.
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