“Isis mi taglierà la testa ma non la mia dignità”. Accusata di spionaggio, la blogger curda Raqia Hassan Mohammed è stata giustiziata tre mesi fa dallo Stato Islamico. Ma la notizia è stata diffusa da gruppi di attivisti solo pochi giorni fa, facendo il giro del mondo.
Era l'emblema della più eroica delle resistenze possibili, Raqia Hassan Mohammed: una voce libera che è stata spenta dalla furia del fanatismo. La blogger curda è stata uccisa per aver raccontato la vita sotto il Califfato. Era una delle più accreditate citizen journalist nell'area, osava sfidare gli oppressori con la forza delle proprie idee ed una vena ironica che aiutava lei ed i suoi lettori ad affrontare meglio l'inferno di Raqqua, un tempo fiorente città siriana ora elevata a “capitale” dello Stato islamico. Raqia combatteva Daesh senza fare sconti neppure al regime di Assad. Denunciava soprattutto sui social network, dove utilizzava lo pseudonimo di Nissan Ibrahim, le condizioni dei civili, torturati e violentati dai jihadisti, ma non mancava di riferire sui continui bombardamenti della coalizione internazionale. “Isis mi taglierà la testa – soleva dire - ma non la mia dignità. Meglio morire piuttosto che vivere nell'umiliazione”. La morte dell'attivista 30enne, accusata di “spionaggio” risale a circa tre mesi fa. Ma Daesh lo ha nascosto usando l'account facebook della donna come trappola per altri resistenti. Solo pochi giorni fa la conferma dell'uccisione. Moltissimi i citizen journalists caduti dal 2011 ad oggi. 94 solo nel 2015 secondo il Syrian Network for Human Rights. Martiri di cui sopravvive il messaggio di libertà, in Medio Oriente come altrove.
Era l'emblema della più eroica delle resistenze possibili, Raqia Hassan Mohammed: una voce libera che è stata spenta dalla furia del fanatismo. La blogger curda è stata uccisa per aver raccontato la vita sotto il Califfato. Era una delle più accreditate citizen journalist nell'area, osava sfidare gli oppressori con la forza delle proprie idee ed una vena ironica che aiutava lei ed i suoi lettori ad affrontare meglio l'inferno di Raqqua, un tempo fiorente città siriana ora elevata a “capitale” dello Stato islamico. Raqia combatteva Daesh senza fare sconti neppure al regime di Assad. Denunciava soprattutto sui social network, dove utilizzava lo pseudonimo di Nissan Ibrahim, le condizioni dei civili, torturati e violentati dai jihadisti, ma non mancava di riferire sui continui bombardamenti della coalizione internazionale. “Isis mi taglierà la testa – soleva dire - ma non la mia dignità. Meglio morire piuttosto che vivere nell'umiliazione”. La morte dell'attivista 30enne, accusata di “spionaggio” risale a circa tre mesi fa. Ma Daesh lo ha nascosto usando l'account facebook della donna come trappola per altri resistenti. Solo pochi giorni fa la conferma dell'uccisione. Moltissimi i citizen journalists caduti dal 2011 ad oggi. 94 solo nel 2015 secondo il Syrian Network for Human Rights. Martiri di cui sopravvive il messaggio di libertà, in Medio Oriente come altrove.
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