“Un massacro orribile”: così l'ambasciatore palestinese all'ONU, ha definito quanto avvenuto ieri a Gaza. Riyad Mansour non ha potuto nascondere la delusione per la mancata condanna – da parte delle Nazioni Unite – di quanto compiuto dalle Forze Armate dello Stato Ebraico, che - al lancio di sassi e molotov – hanno risposto con gas lacrimogeni e tiri di cecchini. Il risultato sono stati 16 palestinesi uccisi e oltre 1.400 feriti. Israele – dal canto suo - ha puntato il dito contro Hamas, accusata di mettere in pericolo le vite dei civili ed utilizzarle a fini terroristici. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, riunitosi d'emergenza ieri, non ha deciso alcuna azione, limitandosi a chiedere ad entrambe le parti di ridurre le tensioni. Il Segretario Generale Guterres ha invece sollecitato “un'indagine indipendente” sugli scontri, iniziati in occasione della “Giornata della Terra”: che ricorda la confisca – nel 1976 – delle terre di proprietà araba in Galilea. Alle manifestazioni di ieri – avvenute in prossimità delle barriere di confine - avevano partecipato circa 30.000 palestinesi, tra cui molte donne e bambini. I responsabili dell'Esercito israeliano hanno sostenuto di aver “sparato verso i principali istigatori della protesta”, tra i quali “due membri dell'unità di elite di Hamas”. Tensione altissima a Gaza, ma nessun incidente di rilievo – oggi – nella giornata di lutto nazionale proclamata dal Presidente palestinese Abu Mazen, che ha definito le vittime “martiri, in difesa dei luoghi sacri islamici e cristiani, e del loro diritto a tornare nelle proprie case e nella propria terra dalla quale sono stati espulsi”. Lo scenario, a questo punto, è davvero preoccupante; anche perché le cosiddette “Marce per il ritorno” proseguiranno in teoria fino al 15 maggio: giorno in cui nel 1948 nacque lo Stato Ebraico, e che i palestinesi ricordano come la “Nakba”, la catastrofe. “Se la violenza continuerà lungo il confine di Gaza – ha già annunciato il portavoce militare israeliano -, espanderemo la nostra reazione per colpire i militanti anche al di là della frontiera”.
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