Gerusalemme: si aggrava il bilancio dei "giorni della rabbia". Scontro all'ONU tra Europa ed USA
“E' stata accesa la scintilla dell'Intifada – ha ammonito oggi il portavoce di Hamas – e continuerà ad ardere fino al raggiungimento del nostro obiettivo”. Una dichiarazione, quella di Trump, su Gerusalemme, che ha finito per compattare l'opinione pubblica di vari Paesi islamici. Da Algeri a Islamabad, da Istanbul a Beirut; piazze in fermento, in appoggio alla protesta. Pesante il bilancio del “giorno della rabbia”, in occasione del venerdì di preghiera. Secondo fonti locali sono 4 i morti palestinesi: due uccisi nei violenti scontri, con l'esercito israeliano, nei pressi della barriera difensiva tra la Striscia e lo Stato ebraico; altri due nei raid dell'aviazione, dopo i razzi lanciati dall'enclave palestinese nel sud di Israele. 750 i feriti, stando ai dati della Mezzaluna Rossa, in Cisgiordania; dove gli scontri sono proseguiti anche oggi a Ramallah, Betlemme ed Hebron. Segnalati incidenti, e barricate, anche nella stessa Gerusalemme. E sullo status della Città Santa, per le 3 grandi religioni monoteiste, si è consumato in queste ore lo strappo formale - tra Europa e Stati Uniti - al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Gli ambasciatori di cinque Paesi Ue, tra cui l'Italia, hanno firmato una dichiarazione comune di condanna della decisione di Washington. Anche Bruxelles si è mossa, e il capo della diplomazia Federica Mogherini ha invitato il Presidente palestinese a partecipare al prossimo Consiglio degli Esteri di gennaio. Abu Mazen ha invece deciso di non incontrare il vicepresidente americano Mike Pence, nella sua prossima visita in Medioriente. Il segretario di Stato Rex Tillerson – dal canto suo - ha spiegato che per il trasferimento dell'ambasciata statunitense, da Tel Aviv a Gerusalemme, ci vorranno almeno due anni.
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