La protesta anti caccia è arrivata in tribunale, al via il processo
Attivisti devono rispondere di ingiuria e violenza privata
Ci sono voluti tre anni e una iniziale archiviazione, ma alla fine dal verde della zona delle Capanne, si è arrivati in un'aula di tribunale. E la tensione, seppur composta, è la stessa di quei giorni di fine ottobre 2019, quando sulla scia di #SanMarinoControLaCaccia da Fiorentino Francesca Verducci lanciò una campagna che spinse anche alcuni attivisti del movimento italiano MAC a salire sul Titano a darle sostegno, con coperchi di pentole e dissuasori acustici per allontanare la selvaggina. Già allora il Presidente Federcaccia Pier Marino Canti, che in un episodio in particolare andò nella zona delle Capanne per convincere i suoi tesserati ad andarsene, parlò di epiteti e provocazioni verbali inammissibili e di possibili vie legali. Oggi il processo, che vede imputati la Verducci ed altri quattro attivisti italiani per ingiuria e violenza privata. si è aperto davanti al commissario della Legge Simon Luca Morsiani. Si sono costituiti parti civile cinque cacciatori, ma la Federcaccia in quanto Federazione non è stata ammessa. Dalle prime testimonianze, tra le quali quelle delle guardie ecologiche che intervennero, emerge il vero nodo del processo: da una parte il rispetto alla normativa vigente da parte dei cacciatori, dall'altra l'esigenza di sicurezza di chi risiede in quella zona e che si si è trovato “con pallini da caccia sui tetti o terrazzi”, e chiede quindi una revisione della legge. Ma in aula si dovrà semplicemente accertare i fatti, in particolare quelli che avvennero il 24, 26 e 27 ottobre: un'escalation che portò gli attivista anche a bloccare una strada secondaria e che sfociò in una serie di episodi di tensione, con condotte - come è emerso in questa prima parte di processo - più moleste che violente e con offese reciproche. Si prosegue il 4 novembre.
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