Processo Buriani Celli, l'ex Segretario di Stato: "Decretata la mia morte sociale"
Ascoltati anche i giornalisti de l'Informazione. Prossima udienza il 13 settembre
“Qualunque sarà l'esito di questo processo, la mia morte sociale è stata decretata”. Simone Celli spezza con amarezza i due anni di silenzio e sceglie di non sottoporsi ad esame proprio per il clima che si creato attorno al procedimento, in cui deve rispondere di falsa testimonianza e tentata concussione. Ma l'ex Segretario di Stato alle Finanze è un fiume in piena, non si limita alla sola difesa dai fatti che gli vengono contestati.
Ricorda i 13 anni di impegno totalizzante in politica, dai quali non ha ottenuto nessun tipo di vantaggio economico, ed i 20 mesi da Segretario di Stato, finalizzati a mantenere positive relazioni con il Fondo Monetario Internazionale; non ci fu occhio di riguardo per Cis: “volevamo evitare che si ripetesse ciò che era accaduto ad inizio legislatura con Asset, con la linea dall'allora vertice di Banca Centrale”. Ripercorre i rapporti con le parti civili: altalenante quello con Catia Tomasetti, che comunque proseguì anche dopo le dimissioni e si interruppe dopo l'audizione in commissione di inchiesta, quando si rese conto che quel rapporto “con la Presidente di Banca Centrale era oggetto di strumentalizzazioni, cui lei aveva dato adito”. Sulla famosa consulenza Gozi “non ravvisavo irregolarità- spiega- e deposi a favore della Presidente BCSM con il commissario Buriani, ma mai proposi il rinvio dell'interrogatorio Gozi né parlai mai di questo”.
“Da collaboratore di studio legale mi limitai a suggerire al politico italiano, quando ci incontrammo alla Leopolda, di presentare una memoria qualora non avesse avuto intenzione di recarsi in tribunale per essere interrogato”. In merito all'accusa di falsa testimonianza “se non ho riferito in Commissione dei miei contatti con Buriani successivi alle mie dimissioni è perché nulla avevano a che fare con banca Cis” aggiunge, rivelando il rapporto umano che lo lega al Commissario della Legge, co-imputato in questo processo, che non gli voltò le spalle nel momento più buio, quello della campagna elettorale di fine 2019, in cui si sentì vittima di un dibattito pubblico per presunte “relazioni illecite” che li riguardava entrambi.
Sentiti in apertura di udienza anche direttore e giornalista de l’informazione Carlo Filippini e Antonio Fabbri, quest'ultimo si è sottoposto ad esame, accusati di pubblicazione di atti segreti. “Siamo qui per avere fatto il nostro lavoro, quello di informare” . Ribadito come l’accesso alla documentazione fatto dal giornalista, qualificato come tale, abbia rispettato le regole e sia stato autorizzato dallo stesso tribunale e che non c'era nulla di segreto, così come emerso dalle deposizione di ex Segretari di Stato e dello stessi Presidente di Commissione d'inchiesta CIS. Il processo prosegue il 13 settembre, toccherà al commissario Buriani. La sua difesa ha ottenuto oggi che il commissario della Legge Adriano Saldarelli ammettesse (nonostante l'opposizione delle parti civili che hanno obiettato che nulla c'entrasse con il processo sammarinese) nuova acquisizione documentale; dagli atti del procedimento noto come quello “delle mascherine cinesi”, il cui processo si aprirà a settembre ed in cui è imputato tra gli altri Daniele Guidi, emergono annotazioni di colloqui informativi informali tra Catia Tomasetti e Guardia di Finanza. A conferma, per la difesa Buriani, che i colloqui informativi, anche non formali, sono la prassi.
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