Il "Classico" non serve più? Dibattito aperto e una task force per difenderlo
E' l'eterno contendere tra modernità e classicismo, sapere scientifico e umanistico, concretezza e idealità. Da un lato, chi profetizza la fine del Classico e già ne decreta l'inutilità, in un mondo 3.0 dove prevale la ricerca del risultato immediato, a tal punto che anche il sapere rischia di venir monetizzato. Dall'altro chi resta saldo nella convinzione che lo studio del passato, delle civiltà greca e latina, possa formare l'individuo non solo a pensare e conoscere, ma soprattutto a interpretare e confrontare. Un dibattito particolarmente vivace in Italia, dove proprio il liceo classico ha una tradizione unica. Ad animarlo, come sempre, ci sono i dati – che vedono scendere l'appetibilità degli studi umanistici nelle scelte dei giovani. Solo 6 studenti su 100 si iscrivono al Classico nello stivale; percentuali in linea a San Marino con 10 i neo-iscritti – erano 15 lo scorso anno, ma solo 6 nel 2014. Uno scontro tra oppositori e sostenitori della formazione classica rinnovato nell'estate, a seguito della proposta di eliminare la traduzione dal greco e dal latino dall'esame di maturità. Docenti sugli scudi, ed è partita da Firenze la “task force per il Classico” (http://taskforceperilclassico.it/t/). Già 6000 firme su una lettera aperta al Presidente della Repubblica e al Ministro del MIUR per chiedere di salvare il Liceo e di non snaturarlo. Si dicono certi, anzi, che la centralità dello studio di lingua e cultura classica rappresenti una eccellenza tutta italiana, un unicum da preservare, convinti che proprio la traduzione dal greco e dal latino rappresenti l'attività più vicina alla ricerca scientifica e al metodo razionale per la comprensione di quanto è sconosciuto.
AS
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