Decisionismo e fortuna in politica, secondo Martin Wight
L’intento di Wight, il più ammirato tra gli studiosi britannici di relazioni internazionali nel Novecento, è quello di dissipare le ombre che aleggiano sulla comprensione del rapporto tra idea e azione in politica. Per tale motivo, le pagine del volume rappresentano una severa critica al determinismo politico. Nella consapevolezza che «persone ed eventi sono recalcitranti alla guida risoluta», che «il risultato dell’azione politica mai coincide con l’intenzione», e che «mai si può avere il controllo di tutto il materiale rilevante», l’autore inglese accompagna il lettore lungo un affascinante viaggio tra pensatori che hanno riflettuto sulla “incoerenza” della politica e uomini politici che hanno sperimentato nella prassi contraddizioni e aporie dei processi politici.
Da Aristotele a Dante, da Polibio a Bolingbroke, passando per statisti, ambasciatori e diplomatici, viene ripercorso – in un serrato e carsico dialogo con Niccolò Machiavelli – il tortuoso cammino della storia per evidenziare l’incidenza delle categorie della tragedia e dell’ironia nell’esperienza politica.
Wight, infatti, è consapevole che la realtà politica non può essere forzosamente piegata a ciò che è (soltanto) razionale, perché infinitamente lo supera. È nella peripezia, ossia nel capovolgimento della situazione, che la fortuna esercita la sua azione sul corso degli avvenimenti storici, ribaltando il destino di uomini e nazioni, perché (come tiene a sottolineare l’autore) è soprattutto l’esperienza della politica internazionale a costituire il palcoscenico prediletto in cui poter osservare le beffe della fortuna.
L’agile volumetto dell’autore britannico mette in luce – come sottolinea Chiaruzzi – «la sfida della politica», che, «inconciliabile in molte asperità», domina sia «il tentativo della comprensione», sia «l’incognito della pratica». In un momento di crisi e di incertezza, la lettura di Fortuna e ironia in politica potrebbe allora rappresentare per la classe politica non solo un adeguato richiamo alla consapevolezza delle contingenze, ma anche un utile sprone all’azione.
Soprattutto perché – come sottolineava con poca cavalleria il segretario fiorentino nel XXV capitolo de Il Principe – «la fortuna è donna; ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perché sono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano».
(europaquotidiano.it)