Enzo Biagi: 10 anni fa moriva uno dei Testimoni del Novecento
Cronista del Novecento, testimone del Suo tempo.
Andava fiero del padre operaio in fabbrica, di mamma Bice e del suo lavoro di sarta, così brava nel rivoltare i cappotti. Comincia a scrivere a 17 anni e non smette più. A 30 anni è caporedattore a Epoca e poi direttore: nomina sul campo dopo una copertina sul caso Montesi: guadagna novantamila copie in due settimane.
Un giorno attacca il governo Tambroni. Scrive "Sette poveri inutili morti" quando la celere carica gli operai delle officine di Reggio Emilia.
Il mattino dopo il ministro chiede la sua testa. Non accetta la proposta dell'editore e si licenzia.
Nel 1961 Bernabei lo chiama in Rai e Biagi diventa direttore del Tg1. Manda le telecamere in piazza a Corleone, il paese della mafia. Difende Enzo Tortora dall’accusa di camorra. Fu dalla parte di Falcone e Borsellino, dei preti di strada, come don Milani e don Mazzolari. Sostenne Pietro Nenni che del socialismo gli disse: «Deve aiutare chi sta indietro a fare un passo avanti». Fa debuttare commentatori televisivi come Giorgio Bocca e Indro Montanelli ed assume anche un giovane Emilio Fede.
Popolare conduttore e autore di inchieste e programmi, firma il celebre “Il fatto”, che chiude il suo lavoro nel servizio pubblico.
Accusato di parzialità e colpito dal cosiddetto “editto bulgaro”, e’ lo stesso Silvio Berlusconi a decretarne l’allontanamento dall’azienda. Biagi resta fuori dalla Rai dal 2002 al 2007. Muore a Milano il 6 novembre, pochi mesi dopo essere stato reintegrato. Ha raccontato, anche con certi suoi silenzi degli ultimi tempi, la crisi morale.
Ogni articolo, ogni libro, sembra filtrato da quell'infanzia povera, la famiglia che misura tutto, da quella mamma che gli raccomanda di non dire le bugie.
VA