Scoperta una nuova datazione sul ritrovamento del Gruppo del Laocoonte, che cambia così anche l'origine dei Musei Vaticani.
Un ritrovamento eccezionale in una semplice vigna, un prezioso incunabolo che, 500 anni dopo, ne cambia la data, modificando così anche l'origine di una delle più grandi collezioni della storia, i Musei Vaticani.
Sembrano gli ingredienti di un romanzo, ma sono gli effetti della scoperta emersa dall'archivio storico di Velletri-Segni: se ne è parlato ai Musei Vaticani, col direttore Antonio Paolucci, in una sala conferenze gremita.
Riguarda il gruppo scultoreo del Laocoonte, dal nome del sacerdote troiano assalito coi suoi figli da serpenti marini, come narrato nell'Eneide.
Capolavoro dell'arte ellenistica, opera di Agesandro, Atanadoro e Polidoro di Rodi, celebrata da Plinio il Vecchio ed ammirata da Michelangelo, è considerato il “reperto primo” che diede origine ai Musei Vaticani. Giulio II infatti lo acquistò per esporlo in Vaticano. Finora la data del ritrovamento era 14 gennaio 1506, nella vigna di Felice De Fredis, alle pendici del colle Oppio, un nobile membro di un'antica famiglia romana. Ma nell'incunabolo ritrovato emerge il nome del proprietario del libro: Angelo Recchia di Barbarano, insigne giurista che fu a lungo al servizio delle magistrature capitoline: egli colloca il ritrovamento al 10 gennaio anziché al 14. Impossibile avere documentazione precisa, ma la notizia è attendibile proprio per le fonti di Recchia: non solo l'architetto Da Sangallo, nipote di Giuliano Da Sangallo che per primo riconobbe nel gruppo scultoreo, ancora in parte interrato, l'opera citata da Plinio il Vecchio, ma soprattutto il padrone della vigna, Felice de Fredis, che dal 1509 fu al servizio della Camera Urbis, a diretto contatto con le magistrature capitoline presso cui, di lì a poco, avrebbe svolto la sua attività lo stesso Recchia.
Francesca Biliotti
Un ritrovamento eccezionale in una semplice vigna, un prezioso incunabolo che, 500 anni dopo, ne cambia la data, modificando così anche l'origine di una delle più grandi collezioni della storia, i Musei Vaticani.
Sembrano gli ingredienti di un romanzo, ma sono gli effetti della scoperta emersa dall'archivio storico di Velletri-Segni: se ne è parlato ai Musei Vaticani, col direttore Antonio Paolucci, in una sala conferenze gremita.
Riguarda il gruppo scultoreo del Laocoonte, dal nome del sacerdote troiano assalito coi suoi figli da serpenti marini, come narrato nell'Eneide.
Capolavoro dell'arte ellenistica, opera di Agesandro, Atanadoro e Polidoro di Rodi, celebrata da Plinio il Vecchio ed ammirata da Michelangelo, è considerato il “reperto primo” che diede origine ai Musei Vaticani. Giulio II infatti lo acquistò per esporlo in Vaticano. Finora la data del ritrovamento era 14 gennaio 1506, nella vigna di Felice De Fredis, alle pendici del colle Oppio, un nobile membro di un'antica famiglia romana. Ma nell'incunabolo ritrovato emerge il nome del proprietario del libro: Angelo Recchia di Barbarano, insigne giurista che fu a lungo al servizio delle magistrature capitoline: egli colloca il ritrovamento al 10 gennaio anziché al 14. Impossibile avere documentazione precisa, ma la notizia è attendibile proprio per le fonti di Recchia: non solo l'architetto Da Sangallo, nipote di Giuliano Da Sangallo che per primo riconobbe nel gruppo scultoreo, ancora in parte interrato, l'opera citata da Plinio il Vecchio, ma soprattutto il padrone della vigna, Felice de Fredis, che dal 1509 fu al servizio della Camera Urbis, a diretto contatto con le magistrature capitoline presso cui, di lì a poco, avrebbe svolto la sua attività lo stesso Recchia.
Francesca Biliotti
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