A 32 anni dalla strage di Capaci
Il messaggio del presidente Sergio Mattarella: "L'eredità di Falcone e Borsellino è patrimonio vivo. Portare avanti la loro opera vuol dire lavorare per una società migliore"
32 anni fa, il 23 maggio 1992, con un attentato nei pressi dello svincolo per Capaci, viene ucciso il giudice antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti furono gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Il giudice Falcone stava tornando a casa da Roma. Atterrato all'aeroporto Punta Raisi di Palermo, le 3 Fiat Croma blindate con la scorta lo stavano attendendo. Alle 17:58, al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, il sicario Giovanni Brusca aziona una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada. L'esplosione non colpisce direttamente l'auto di Falcone che però si schianta contro il muro di cemento e detriti causati dallo scoppio. Falcone muore durante il trasporto in ospedale. La moglie Francesca muore invece in ospedale, la sera stessa. L'agente Costanza, che si trovava nella macchina con il giudice, rimane illeso. Gli agenti della terza automobile rimangono feriti, ma non sono in pericolo di vita.
Poche settimane dopo il martirio di Falcone, un altro eroe italiano doveva pagare, per la sua guerra irriducibile alla Mafia. “Sono un condannato a morte”: l'aveva ripetuto più volte, Paolo Borsellino, prima che una 127 carica di esplosivo – parcheggiata sotto casa della madre - facesse scempio di lui e di 5 agenti della sua scorta.
E nel 32° anniversario dalla strage, il Capo dello Stato Sergio Mattarella in un messaggio afferma: "Come sostenevano Falcone e Borsellino, la Repubblica ha dimostrato che la mafia può essere sconfitta e che è destinata a finire. L'impegno nel combatterla non viene mai meno. I tentativi di inquinamento della società civile, le intimidazioni nei confronti degli operatori economici, sono sempre in agguato. La Giornata della legalità che si celebra vuole essere il segno di una responsabilità comune". "L'attentato di Capaci fu un attacco che la mafia volle scientemente portare alla democrazia italiana. Una strategia criminale, che dopo poche settimane replicò il medesimo, disumano, orrore in via D'Amelio. Ferma fu la reazione delle Istituzioni e del popolo italiano. Ne scaturì una mobilitazione delle coscienze. La lezione di vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino divennero parte della migliore etica della Repubblica". "A trentadue anni da quel tragico 23 maggio è doveroso ricordare anzitutto il sacrificio di chi venne barbaramente ucciso: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Insieme a loro ricordiamo Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. Testimoni di legalità, il cui nome resta segnato con caratteri indelebili nella nostra storia. I loro nomi sono affermazione di impegno per una vittoria definitiva sul cancro mafioso e il pensiero commosso va ai loro familiari che ne custodiscono memoria ed eredità morale". "È necessario tenere alta la vigilanza. Gli anticorpi istituzionali, la mobilitazione sociale per impedire che le organizzazioni mafiose trovino sponde in aree grigie e compiacenti, non possono essere indeboliti. L'eredità di Falcone e Borsellino è un patrimonio vivo che appartiene all'intera comunità nazionale. Portare avanti la loro opera vuol dire lavorare per una società migliore".
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