Ciao Massimo. La scomparsa di Massimo Bordin
di Carlo Romeo
Era il 1979 e Massimo Bordin era uno dei giovani della prima redazione nazionale di Radio Radicale, insediatasi da poco nell'attico di una ex pensione, peraltro di fama inquietante, a pochi metri dalla Stazione Termini. Il direttore era Lino Jannuzzi, quindi si parla del top del giornalismo di quegli anni che, oltre che con Massimo - che già di suo non era di semplice carattere - aveva Paolo Liguori, che arrivava dal quotidiano Lotta Continua - altra scuola straordinaria di giornalismo - di cui era stato uno dei migliori inviati. C'erano con loro anche Marco Taradash, da cui poi Massimo avrebbe ereditato la Rassegna Stampa, una volta che Marco entrò in Parlamento. E il sottoscritto, che pochi anni dopo sarebbe passato alla tv. Non eravamo gente semplice nessuno di noi, ma Lino Jannuzzi riusciva a tenere insieme questi strani giovani così diversi fra loro.
Era un mondo - intendiamoci bene - che oggi rischia di far sorridere. Le dirette dalla Camera e dal Senato, trasmesse con sistemi di fortuna dalla stanza di Pannella dagli Uffici del Vicario 21, erano del tutto "illegali", così come trasmettere i processi. Le interviste per strada, che davano voce alle persone che a quei tempi (a differenza degli eccessi opposti e contrari di oggi) non la avevano; le stesse rassegne stampa e tutto quello che si è inventata e che rappresenta oggi Radio Radicale, sono state conquiste di una emittente che in quegli anni non poteva neppure essere citata dai giornali. Tanto per capirsi: quando De Mita incontrò, agli inizi degli anni '80, a un congresso della Dc al Palaeur, Paolo Liguori e chi scrive mentre facevano il proprio lavoro, registratore alla mano, con aria palesemente schifata ci chiese: "Ma facciamo entrare anche voi di Radio Radicale qui ora?". Di episodi del genere Massimo ne poteva raccontare a centinaia, anche se lui alla fin fine, ci rideva poco sopra. Quando, per esempio, negli anni '80 l'allora parlamentarista di Radio Radicale entrava a Montecitorio, visto che allora non era accreditato, né accreditabile presso la Stampa Parlamentare, veniva regolarmente seguito da due sospettosi commessi. E comunque questo almeno non è cambiato di molto. L'allora parlamentarista di cui sopra, Roberto Giachetti, continua infatti ancora oggi a essere seguito per i i saloni di Montecitorio da due solerti commessi, anche se per altre più solide e istituzionali ragioni.
Sono anni e contesti in cui Massimo ha vissuto con orari improbabili, incazzature epocali, analisi rigorose e attente della politica, ma anche - se non soprattutto - della giustizia italiana e dei processi, contesti che dominava come pochi nel giornalismo italiano, forte della lezione di Jannuzzi e di Franco De Cataldo - altro nome straordinario che riaffiora e dispiace che debba essere troppo spesso la morte a farli riaffiorare. Anni duri quelli di Radio Radicale, che poi - per una serie di circostanze, non ultima quella di avere superato oltre venti anni di scetticismo e di difficoltà enormi - ebbe la fortuna e il privilegio di ricevere, poi, l'onore delle armi. Armi che peraltro continuavano a sparargli comunque contro.
La storia di Radio Radicale, la storia di Massimo, è la storia di tutti noi. Forse chi era dall'altra parte della radio - ogni giorno puntuale a sentire la sua voce e i giornali - ignorava che cosa volesse dire recuperare trentotto giornali intorno alle sei del mattino da un giornalaio all'angolo con Via Cavour, perennemente in canottiera anche a dicembre, salire, aprire la radio e cominciare a leggere. Alle sette arrivava il tecnico con cui si condivideva il primo caffè della giornata e dopo avere letto integralmente tutti i trentotto giornali - perché la Rassegna Stampa non si limitava alle prime pagine - andare in onda per un'ora. Ma in quell'ora, Massimo e Radio Radicale sapevano che la gente ascoltava, rifletteva, capiva.
Questa era la vita di Massimo ogni mattina e poi per non farsi mancare nulla c'erano le domeniche pomeriggio passate con Marco, al quale lo ha sempre legato uno stranissimo rapporto. La straordinaria genialità di Marco, le sue provocazioni, le sue sfide lo affascinavano, anche se spesso lo disorientavano, ma lui - che si confrontava e si identificava certo di più con la personalità meno destabilizzatrice di un Massimo Teodori - a volte faticava un po', e lo si sentiva e lo si capiva, a reggere la situazione. Senza contare che Marco tanto leggero francamente non era, soprattutto in conversazioni pubbliche che duravano ore.
La vita di Massimo ha segnato in ogni caso la storia del giornalismo italiano. Radio Radicale, che è un miracolo con la sua storia, di contro oggi rischia per assurdo di vivere i suoi ultimi giorni. Non certo portato al nomadismo e per il quale Via Principe Amedeo 2 è stato la sua casa di sempre - dall'inizio, cioè dal 1979 quando la carta da parati negli studi radiofonici cadeva a pezzi e dall'attico si sentiva il rumore dei turisti a Piazza Esedra - Massimo non poteva accettare, e non avrebbe accettato, di vedere realizzato il disegno perverso in corso della chiusura di una voce di libertà. Non lo poteva tollerare perché è semplicemente ingiusto e il senso di giustizia di Massimo è un'altra delle cose che mancherà a questo Paese.
Resta la voce di Ada, che al microfono in diretta annuncia la sua scomparsa, resta la sua voce che si spezza e verrebbe da abbracciarla stretta, se non fossi come sono a centinaia di chilometri di distanza. Come se.
Ciao Massimo, la strada è stata lunga, è lunga. Ma ne vale la pena comunque. Sempre e comunque.
cr