Non si può più di certo definire un conflitto congelato, quello nel Nagorno-Karabakh. Ormai è guerra vera, con violenti scambi di artiglieria, attacchi aerei, lanci di missili, e un numero di vittime – anche civili - che cresce di ora in ora. Un conflitto infinito, quello fra Armenia ed Azerbaigian, per il controllo di questa regione; riaccesosi improvvisamente nella notte fra sabato e domenica. Come spesso avviene in questi casi si è assistito ad un rimpallo di responsabilità fra le parti in causa. Secondo Baku le prime provocazioni erano giunte da parte armena, con intensivi bombardamenti lungo la linea del fronte. Opposta la ricostruzione di Yerevan, che attribuisce alle forze armate azere i primi attacchi, anche contro Stepanakert: capitale dell'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh. Una cosa è certa, al netto della rispettiva propaganda, i morti si conterebbero a decine.
Secondo il Ministero della Difesa azero sarebbero addirittura più di 550 i militari armeni uccisi negli scontri di domenica; riportata anche la distruzione di veicoli corazzati, sistemi missilistici e depositi di armi. Circa 200, invece, si sostiene da sponda armena, i soldati nemici eliminati. L'Onu invoca una immediata cessazione dei combattimenti. Sulla stessa linea Ue, Italia e Russia, che chiede anche un avvio dei negoziati. Ma quella attuale è la peggior crisi armeno-azera degli ultimi anni, comunque segnati da incidenti continui anche dopo l'accordo di cessate il fuoco del 1994 mediato da Mosca. A luglio gli scontri avevano riguardato la regione di Tovuz, dove insistono infrastrutture strategiche, per portare gas e petrolio in Europa. Ora il campo di battaglia è nuovamente quello del Nagorno-Karabakh; e il rischio è quello di un progressivo coinvolgimento di potenze regionali come la Turchia, che ha ribadito il proprio pieno appoggio all'Azerbaigian, ed è stata accusata da Yerevan di aver fornito all'alleato consiglieri, mercenari e caccia F-16.