Crocus City Hall: i servizi di sicurezza interni russi accusano apertamente Kiev per l'attentato
“Menzogne”, la replica del consigliere presidenziale ucraino Podolyak. Il capo dell'FSB ha dal canto suo annunciato rappresaglie; puntando il dito anche contro Washington e Londra
Sin da subito una tendenza – fra le autorità russe – ad interpretare in modo univoco i lati oscuri dell'attentato. Passata sottotraccia la rivendicazione da parte della branca afghana dell'ISIS; quando era invece evidente come fosse l'Ucraina l'obiettivo politico di questa narrazione. Sfociata infine in accuse esplicite. In rapida successione, oggi, le dichiarazioni del capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale Patrushev e del direttore dell'FSB Bortnikov. La tesi di quest'ultimo è che i terroristi fossero stati addestrati dall'intelligence di Kiev in Medio Oriente. Da qui l'annuncio di rappresaglie, e l'inserimento nella “kill list” russa del capo dei servizi segreti militari ucraini Budanov.
Prese di posizione che aprono a scenari da brividi; essendo stato anche paventato un coinvolgimento di Washington e Londra. Proseguono intanto le indagini. I volti tumefatti dei 4 tagiki - presunti esecutori materiali della strage – lasciano pensare ad interrogatori brutali; oggi l'arresto di un nuovo sospetto, originario del Kirghizistan. Senonché al momento nessuna prova è stata portata a sostegno della “pista ucraina”. Lavrov ha parlato di un'improvvisa disponibilità a collaborare da parte dell'Interpol; proposta viziata – a suo avviso – dalla volontà di sostenere teorie gradite al blocco occidentale. Che in coro sta bollando come disinformazione le accuse di Mosca.
“Ridicole”, hanno tuonato fonti NATO; mentre da Kiev Podolyak ha parlato di “menzogne”. Sembrerebbero non reggere, del resto, alla prova del “cui prodest”. Un qualche legame ad un crimine così abominevole – almeno 139 le vittime alla Crocus City Hall – parrebbe a tutti gli effetti un suicidio per un Paese che dipende pressoché in toto da aiuti internazionali. Punto chiave della versione di Mosca, il presunto tentativo dei terroristi di riparare in Ucraina.
Ma in queste ore è stato un alleato di ferro del Cremlino come Lukashenko a mettere in discussione questa circostanza; rivelando come la destinazione iniziale della fuga fosse la Bielorussia. Suscita al contempo interrogativi la decisione di Zelensky – riportata proprio oggi dai media – di sollevare un personaggio noto come Oleksiy Danilov dall'incarico di Segretario del Consiglio di Sicurezza ucraino. In generale l'impressione è che il conflitto stia entrando in una fase se possibile ancor più cruenta.
Con le accuse odierne è come se il Cremlino si fosse legato – di fronte alla propria opinione pubblica – a scenari di totale escalation. Il prologo i pesanti raid con droni e missili di questi giorni. Per di più in un momento nel quale in Europa è aperto il dibattito su un eventuale invio di truppe a sostegno di Kiev. Questo “giorno potrebbe arrivare” ha detto oggi Kuleba; ribadendo l'ormai consueto assunto: “se l'Ucraina perde, Putin non si fermerà”.
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