Due mesi di tregua in cambio degli ostaggi: Hamas rifiuta la proposta di Israele
All'orizzonte non c'è pace, non c'è tregua. Hamas rifiuta la proposta israeliana: due mesi di cessate il fuoco in cambio del rilascio di ostaggi non bastano, la richiesta è il ritiro delle truppe dalla Striscia. Dall'altra anche Tel Aviv detta le sue condizioni: “Niente pause nel conflitto, se l'organizzazione islamista continuerà a governare”.
Sul fronte politico, pressing europeo per la soluzione a due Stati, con l'alto rappresentante Borrell che ricorda: “Israele non ha diritto di veto su questa opzione”.
Sul campo di battaglia Khan Yunis è l'epicentro degli scontri. La roccaforte di Hamas nel sud della Striscia è accerchiata dalle Idf, che fanno sapere di aver “eliminato decine di terroristi, preso i magazzini di armi e chiesto di evacuare sei rioni”. Succede dopo “uno dei giorni più pesanti dall'inizio del conflitto”: il premier Netanyahu commenta così l'uccisione di 24 soldati in un solo attacco sul campo profughi di Maghazi, al centro della Striscia, e promette “combattimenti fino alla vittoria totale”.
Davanti alla sua residenza, però, i parenti dei 130 ostaggi rimasti nelle mani di Hamas continuano a protestare, mentre alcuni prigionieri liberati portano le loro testimonianze alla Knesset: “Nei tunnel – raccontano – non solo le ragazze, ma anche i ragazzi vengono stuprati”.
Mentre più di mezzo milione di persone fa la fame a Gaza, secondo l'Agenzia Onu dei rifugiati. 25.500 i morti palestinesi e secondo l'Unicef almeno mille bambini hanno perso un arto a causa dei raid.
Ancora tensione intanto nel Mar Rosso e Ue che dà il via libera per una missione militare: difendere, anche con la forza, le navi mercantili minacciate dagli Houti, il cui scopo è colpire le imbarcazioni legate a Israele. In prima fila Italia, Francia e Germania. Mentre i ribelli yemeniti avvertono: “I raid di Stati Uniti e Gran Bretagna contro di noi non rimarranno impuniti”. E l’Iran aggiunge che per gli Usa “sono un errore strategico”.
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