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GRUPPO DI VISEGRAD

Elezioni: "frenata" sovranista in Ungheria, mentre in Polonia stravince Kaczynski

Giornata di elezioni, ieri, in Polonia ed Ungheria. Il dato forse più significativo è la sconfitta, patita a Budapest, dal Partito del Primo Ministro

La formula “tutti contro Orban”, alla fine, ha funzionato. E le opposizioni hanno inflitto, al Premier, la più cocente sconfitta elettorale, probabilmente, da quando è al potere. Innanzitutto a livello simbolico, con il rovescio patito nella Capitale. Nuovo sindaco di Budapest sarà Gergely Karacsony, candidato dei Verdi, che ha sfiorato il 51%. In forte difficoltà, Fidesz - il partito del Primo Ministro -, anche nel resto del Paese; come testimoniano i 9 capoluoghi passati di mano, al termine di queste amministrative. In totale – dei 23 in palio – 11 sono andati alle opposizioni, che per la prima volta si sono presentate unite, attraverso sistematici accordi di desistenza. Un dato di cui tenere conto nell'analisi di questa tornata; anche perché nel fronte anti-Orban vi è, ormai a pieno titolo, la destra radicale di Jobbik. Da valutare con cautela, insomma, la presunta battuta d'arresto del sovranismo in quest'area. Proprio ieri, poi, si votava – questa volta per le politiche - anche in un altro Paese del “Gruppo di Visegrad”. In Polonia Diritto e Giustizia” - la formazione euroscettica ed identitaria, guidata da Jaroslaw Kaczynski – si è confermata maggioranza assoluta in Parlamento, con un balzo di 8 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni. Oltre ogni pronostico il 46% di consensi ottenuto, a spoglio ormai ultimato. Anche perché, come in Ungheria, le opposizioni – che andavano dai liberali di “Coalizione Civica”, ai ruralisti del PSL - avevano puntato su patti di desistenza, per togliere a Kaczynski la possibilità di formare un nuovo esecutivo monocolore. A convincere l'elettorato polacco, fra le altre cose, il programma di tutela del welfare, avviato da “Diritto e Giustizia”; con la promessa di un nuovo bonus bebè ed un aumento del salario minimo. E poi l'introduzione di riforme che, secondo l'UE, metterebbero a rischio lo stato di diritto, ma che evidentemente – in Patria – riscuotono un consenso notevole.

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