Di certo non è ancora la fine della guerra; sul tavolo un'infinità di distinguo, di condizioni. Ma il primo passo – affinché Gaza torni a vivere - parrebbe ora possibile. Dopo il positivo feedback di Hamas – riportato dal Ministro agli Esteri egiziano - è arrivata infine la conferma di Netanyahu, riguardo la proposta di un cessate il fuoco temporaneo. Ovvero la fase 1 della roadmap rilanciata nei giorni scorsi dall'Amministrazione Biden. Prevederebbe una tregua di 6 settimane, il ritiro di Tsahal dalle zone più densamente popolate della Striscia, l'ingresso di aiuti umanitari; e soprattutto il rilascio di un numero imprecisato di ostaggi,
in cambio della liberazione di centinaia di detenuti palestinesi. Il Ministro italiano Tajani ha definito quella del Premier israeliano una “cauta apertura”; comunque tutt'altro che scontata se si considera il pressing dell'ala più oltranzista dell'Esecutivo, con i Ministri Ben Gvir a Smotrich a minacciare la crisi di governo. Dall'altra parte il leader dell'Opposizione Lapid aveva promesso, nel caso, una “rete di protezione”; pure il Presidente Herzog era sceso in campo, ponendo l'accento sul ritorno a casa dei rapiti. Instancabile, sul punto, l'attivismo delle famiglie. Costretto ad un equilibrismo politico, insomma, Netanyahu, dopo l'assoluta intransigenza di questi mesi. Ha assicurato oggi come siano state soddisfatte le condizioni poste da Israele. Ignoti, però, gli esatti termini dell'accordo. Cui dovrebbe seguire un'ulteriore trattativa per passare alla fase successiva, in vista di una cessazione definitiva delle ostilità. E' ciò che vorrebbe subito Hamas, che avrebbe chiesto oggi precise garanzie in questo senso agli Stati Uniti; lasciando fra l'altro intendere la possibilità di una marcia indietro rispetto all'ok iniziale all'intesa.
Da ritenere dunque tutt'altro che definita. Anche perché i vertici dello Stato Ebraico continuano a ribadire la propria determinazione ad annichilire il gruppo armato responsabile delle stragi del 7 ottobre. Non solo: espressa la volontà di creare le condizioni – manu militari - per l'insediamento di un “governo alternativo” a Gaza. All'apparenza un vicolo cieco. La conferma anche dal difficile negoziato per la riapertura del valico di Rafah; dossier che sta mettendo a dura prova le relazioni israelo-egiziane. Decisive saranno insomma le prossime ore, per verificare sul campo quanto vi sia di concreto nelle dichiarazioni odierne dei belligeranti. Il prologo non è stato dei più incoraggianti: report nella notte di bombardamenti su due campi profughi nel centro della Striscia e a Khan Younis. Nell'exclave il bilancio delle vittime avrebbe ormai abbondantemente superato quota 36.000, con più di metà degli edifici – secondo l'ONU – distrutti o danneggiati.