ESTERI

Israele: la seconda ondata di Covid ritarda i tempi dell’annessione

La corrispondenza settimanale di Massimo Caviglia

La curva in salita del Covid in Israele ha messo in forte apprensione il governo, che ha visto vanificati gli sforzi del lockdown, con mille contagi al giorno, un’economia in difficoltà e una disoccupazione in crescita. Il premier Netanyahu ha dichiarato che “il Paese è di nuovo a un passo dal blocco totale”, ha decretato lo stato di emergenza e oggi sono entrate in vigore le nuove restrizioni che limitano i raggruppamenti. L’intensità della seconda ondata di contagi è dovuta all’allentamento delle restrizioni, per venire incontro alle richieste dei cittadini e delle aziende. Così, da oggi, piscine, palestre e giardini saranno di nuovo chiusi, e gli autobus avranno un limite di passeggeri. Il Primo Ministro palestinese ha chiesto a Israele di chiudere i checkpoint per frenare l'epidemia di virus. Intanto il Covid ha fatto passare in secondo piano il tema dell’annessione. In seguito allo stop del premier britannico Johnson, anche il timore di una presidenza Biden negli Stati Uniti potrebbe convincere Netanyahu a rinunciare alla sovranità su parte della Cisgiordania o a rinviare i tempi. Ma, oltre alla volontà della sua base elettorale - e forse al desiderio di distrarre dal suo processo - è soprattutto il timore di un ritiro degli Stati Uniti dal Medio Oriente che spinge Netanyahu verso l'annessione. Se davvero l'egemonia americana nell’area si sta sgretolando, un ritiro israeliano dalla Valle del Giordano sarebbe usato da Hamas, Hezbollah e Jihad islamica per colpire direttamente Gerusalemme senza che nulla possa interporsi. Quindi, se protezione significherà poter contare solo su se stessi, per Netanyahu l’annessione è l’unico modo per garantirsi uno spazio-cuscinetto prima del prossimo conflitto.

Massimo Caviglia

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