Dopo aver rimandato per tutta la giornata il suo discorso alla Nazione, in serata il premier israeliano Natanyahu posticipa la riforma della Giustizia. Una decisione presa – dice – “in nome della responsabilità nazionale e per evitare una guerra civile”. Il Paese era infatti messo a ferro e fuoco dalle proteste contro la riforma e paralizzato da uno sciopero generale – subito ritirato dopo l'intervento del primo ministro – che ha fermato tutto il possibile, compresi i voli in partenza dalla capitale e gli uffici delle ambasciate israeliane nel mondo. Nel pomeriggio di ieri circa centomila persone davanti alla Knesset a Gerusalemme. Nello stesso posto anche una contromanifestazione della destra.
La miccia, dopo settimane di tensioni, è il licenziamento del ministro della difesa, reo di aver chiesto una pausa nell'iter della riforma. Provvedimento a cui si vede comunque costretto Netanyahu, che per calmare gli animi la posticipa dopo la Pasqua ebraica. Allo stesso tempo lascia la legge sul tavolo, invitando al dialogo l'opposizione per gli “aggiustamenti” necessari. Il premier deve mediare con il suo ministro alla Sicurezza nazionale Gvir, schierato con l'estrema destra e pronto ad aprire una crisi di Governo. Con lui concorda la pausa della riforma in cambio dell'esame della creazione di una Guardia nazionale civile di volontari, alle dirette dipendenze del ministro. Una concessione giudicata dagli analisti problematica vista l'esistenza già di polizia, guardia di frontiera, sicurezza interna ed esercito.
Per Netanyahu arriva la mano tesa degli Usa, con l'ambasciatore in Israele che annuncia l'invito alla Casa Bianca: “Credo dopo Pasqua – afferma Tom Nides –, ma con c'è dubbio che incontrerà Biden, sono amici da 40 anni”.