E’ ancora presto per capire se Israele riuscirà ad avere un nuovo governo o se tornerà alle urne per la quinta volta in due anni. Solo venerdì sera infatti sarà concluso il conteggio degli ultimi 400 mila voti in busta dei soldati di leva, dei diplomatici e dei pazienti Covid, che aggiudicheranno 10 seggi. In un parlamento dove la maggioranza si misura sul filo dei due o tre seggi significa che il risultato potrebbe essere capovolto. Già tra ieri e oggi, a spoglio non ultimato, il Likud è passato da 32 a 30 deputati (6 in meno rispetto alle scorse elezioni), con la coalizione di destra che scende a 52 seggi. Nonostante si sia proclamato vincitore, il premier sa che potrebbe non ottenere la maggioranza necessaria a formare il governo, e per questo ha avvisato: “O un esecutivo guidato da me o nuove elezioni”.
Lapid, leader del secondo partito e del blocco anti-Netanyahu che ad oggi conta 56 seggi, sta iniziando a corteggiare Bennett, capo del partito nazionalista Yamina con 7 deputati. Ma se questi decidesse di unirsi al gruppo di centrosinistra chiederebbe di escludere la Lista araba, e la coalizione perderebbe 6 deputati ottenendo solo 57 seggi. A sorpresa, il vero ago della bilancia è divenuto Mansour Abbas, leader del partito arabo e musulmano Raam che, fuoriuscito dalla Lista araba unita, con i suoi 5 deputati potrebbe venire in aiuto del premier o dei suoi avversari. Abbas ha incentrato la campagna elettorale sulle problematiche socio-economiche dei cittadini palestinesi, dichiarando che sosterrà la coalizione che affronterà tali questioni. Indipendentemente dal risultato definitivo di venerdì i negoziati fra partiti andranno avanti per giorni. Ma per Bibi non sarà facile far convivere gli islamisti di Abbas con gli schieramenti sionisti e religiosi, come per Lapid sarà ardua la coabitazione tra la destra di Saar e Bennett con i laburisti, i socialisti e la lista araba. A questa situazione complicata si aggiunge la certezza che una quinta elezione difficilmente riuscirà a spostare di molto gli equilibri. A meno che una minaccia esterna porti ad un governo di unità nazionale.
Massimo Caviglia