La Corte riesaminerà il caso Assage, Amnesty International: “Resta nel limbo”
Londra concede l'appello contro estradizione negli Stati Uniti al giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks
L’Alta corte del Regno Unito ha aggiornato la decisione sulla richiesta di Julian Assange di appellarsi contro l'estradizione negli Stati Uniti d'America. I giudici hanno dato agli Usa un’ulteriore opportunità di fornire assicurazioni diplomatiche che i suoi diritti non saranno violati. La Corte esaminerà nuovamente il caso il 20 maggio. Gli Usa “danno la caccia” ad Assange da quasi 15 anni per aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato.
“Il verdetto odierno lascia Assange e tutti coloro che difendono la libertà di stampa in un limbo, ma la lotta continua. Invece di insistere ad andare avanti sul piano giudiziario, gli Usa dovrebbero annullare tutte le accuse nei confronti di Assange”, ha dichiarato Simon Crowther, consulente legale di Amnesty International.
“Il Regno Unito resta intenzionato a estradare Assange nonostante il grave rischio che, negli Usa, possa essere sottoposto a maltrattamenti e torture. In passato le ‘assicurazioni diplomatiche’ si sono rivelate infondate e, nel caso specifico, quelle presentate riguardo ad Assange sono piene di scappatoie”, ha aggiunto Crowther.
“Purtroppo - ha commentato ancora Crowther -, l’Alta corte ha respinto alcuni degli argomenti sostenuti dalla difesa di Assange, tra i quali quello che l’estradizione è una questione politica. L’Alta corte ha messo in pausa il procedimento sugli altri punti in modo che gli Usa possano fornire le ‘assicurazioni’, per poi esaminarle”.
E conclude: “Gli Stati Uniti devono porre fine alla persecuzione per motivi politici di Assange, che mette lui e la libertà d’informazione in pericolo. Con la loro intenzione di imprigionarlo, gli Usa stanno mandando un messaggio chiaro ai giornalisti in ogni parte del mondo: possono diventare un bersaglio e non devono sentirsi al sicuro se ricevono e pubblicano materiale riservato, anche se lo fanno in nome dell’interesse pubblico”.
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