Libia: Erdogan pronto a inviare truppe. Rischio escalation
Le forze di Haftar rivendicano la conquista dell'aeroporto di Tripoli. Prosegue, intanto, il flusso di migranti verso l'Europa
Un conflitto definito da alcuni a bassa intensità; ma comunque sanguinoso, e con effetti catastrofici sull'economia del Paese: caduto in un vortice di caos e violenza dopo l'intervento militare che portò all'eliminazione di Gheddafi. Quella in corso in Libia appare sempre più una “guerra per procura”, alimentata da potenze regionali rivali. Come la Turchia, che si appresta a scendere in campo al fianco del Governo di Tripoli: pressato dall'avanzata delle forze del Generale Haftar, che oggi rivendicano la conquista dell'aeroporto della Capitale. Ieri, Erdogan, aveva annunciato la presentazione in Parlamento – il 7 gennaio – di un provvedimento per l'invio di truppe regolari a sostegno di al-Serraj. “Andremo dove ci invitano, non dove non siamo invitati”, ha detto il Presidente turco. Una stilettata ai Paesi dalla parte dell'”uomo forte della Cirenaica”, che può contare sull'appoggio di Emirati Arabi Uniti, Egitto e, a quanto pare, dei contractors russi della compagnia Wagner. L'impressione di vari analisti, tuttavia, è che Ankara – dopo lo spregiudicato attivismo di questi anni in Siria - intenda sfruttare la guerra civile libica per rilanciare le proprie ambizioni nel Mediterraneo. Quel che è certo è che un eventuale intervento rischierebbe di innescare una escalation militare. E mentre l'Italia tenta una mediazione per un cessate il fuoco – e il Cremlino parla di un'intesa con Roma per una “soluzione pacifica” della crisi –, proseguono i raid aerei dell'aviazione di Haftar. Colpito nuovamente, oggi, il complesso petrolifero di Zawiya. Inevitabili le conseguenze di queste azioni sulla popolazione civile. Prosegue, nel frattempo, il flusso di migranti, in partenza dalle coste libiche. Nella notte la Alan Kurdi – riferisce la ONG tedesca Sea Eye – ha avvistato un'imbarcazione in pericolo; 32 le persone tratte in salvo.