Livio Senigalliesi: “narrazione avvelenata” sulla crisi ucraina
Il punto di vista del celebre reporter di guerra e saggista sulla copertura del conflitto da parte dei media mainstream. “Non mi piace che i giornalisti facciano da grancassa a una delle parti in causa”
“Sono piuttosto critico nei confronti della narrazione avvelenata che vediamo sui nostri media mainstream, tutto questo deriva dal vizio di sposare una causa; rendere una guerra più commestibile all'opinione pubblica”. Così Livio Senigalliesi, reporter di guerra con una lunga esperienza sui fronti più caldi: dai Balcani al Medio-Oriente, dall'Africa al sud-est asiatico. A suo avviso stanno proliferando fake news, “non mi piace che i giornalisti facciano da grancassa a una delle parti in causa”. Ricordando poi i suoi “40 anni in prima linea”, sottolinea come il dovere etico di ogni giornalista sia raccontare notizie: “vere e confermate”.
“Dobbiamo essere degli osservatori liberi”, aggiunge; “e questo mi sembra sempre più raro nei nostri strumenti di informazione”. Senigalliesi rimarca poi come per capire il presente sia necessario studiare il passato: “è una legge inconfutabile del buon giornalismo”. E continua ricordando come per 8 anni si siano chiusi gli occhi di fronte alle “stragi che avvenivano in Donbass”, “si parla di 14.000 russi uccisi”; una crisi continua – puntualizza - e “anche alimentata con armi che venivano dall'Occidente. Quello che serviva era un incidente di frontiera”. La nostra attenzione – conclude il reporter - deve essere la stessa per tutti, soprattutto da parte dei giornalisti, che hanno un compito delicatissimo.
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