Medio Oriente: si continua a trattare al Cairo per una tregua a Gaza, ma sale la tensione al confine libanese
In Ucraina intanto allarme per la situazione alla centrale nucleare di Enerhodar: sotto controllo russo sin dalle prime fasi del conflitto
6 settimane di tregua in cambio del rilascio di 40 ostaggi. Sarebbe questa la sostanza della proposta statunitense all'esame dei belligeranti. Nella notte si era parlato di “grandi progressi” nei negoziati. Poi la doccia fredda. Stato Ebraico ed Hamas per una volta concordi, stando ai media, nel non vedere alcuna svolta. E ciò al netto della decisione di Tsahal di ritirare il grosso delle truppe dal sud di Gaza; ad eccezione del contingente che controlla il corridoio che taglia in due l'exclave. Mossa tattica, con ogni probabilità; che consente la prosecuzione di operazioni mirate, e al contempo favorisce il rientro di migliaia di sfollati in ciò che resta di Khan Younis. Resta insomma sul tavolo l'ipotesi di un attacco esteso su Rafah; in assenza del quale – ha avvertito il leader di destra radicale Ben Gvir – verrebbe staccata la spina al Governo Netanyahu. Nel frattempo si rilancia guardando a nord, al confine con il Libano. Dove l'esercito – è stato detto – si sta preparando all'attacco. Il prologo un raid che avrebbe portato all'uccisione di un comandante delle forze d'elite di Hezbollah. Rischio escalation in Medio Oriente; mentre nelle pianure ucraine torna l'incubo di una catastrofe radioattiva. Droni kamikaze contro la centrale nucleare di Enerhodar. I primi attacchi diretti dal novembre 2022, ha riferito allarmata l'AIEA. Rafael Grossi ha parlato di un aumento del rischio di un grave incidente. Moniti inascoltati; un'altra munizione circuitante sarebbe stata infatti abbattuta nel pomeriggio sul tetto di uno dei 6 reattori. Nessuna conseguenza, pare. Ma mette i brividi questa determinazione a colpire. Quanto alle responsabilità è evidentemente il riserbo, la policy dell'Agenzia ONU. Da qui l'irritazione del Cremlino; che da subito aveva puntato il dito contro Kiev e chi la sostiene. Per tutta risposta i vertici ucraini sono tornati sulla tesi dell'attacco sotto falsa bandiera. Che non sembra tuttavia reggere alla prova del cui prodest: l'infrastruttura è in mano russa dalle prime fasi dell'invasione; e non si vede quali dividendi geopolitici possa trarre Mosca da un auto-attacco. Significativi del resto il silenzio delle cancellerie occidentali, i generici appelli al buon senso. Ad ingenerare una certa confusione, poi, i report di bombardamenti russi sulla parte non occupata della regione, incluso il capoluogo. In genere si parla infatti di centrale di Zaporizhzhia; seppure l'infrastruttura si trovi in una città al di là del fiume Dnipro, che separa i belligeranti. Ipotesi false flag difficilmente percorribile anche alla luce della situazione sul campo: con l'iniziativa da mesi in mano russa; e dopo la presa di Avdiivka i prodromi di un attacco su un altro nodo strategico come Chasiv Yar.
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