Paesi del Golfo: il piano di Trump e la violenza in Yemen
Con la conferma del primo caso di coronvirus negli Emirati Arabi, il "piano del secolo" del Presidente americano Trump è finito decisamente in secondo piano. Quasi una fortuna per la diplomazia emiratina, che ha imboccato già da tempo la via della normalizzazione economica e politica con Israele.
Se gli Emirati Arabi, che insieme ad Oman e Bahrein sono stati gli unici Paesi del Golfo a partecipare alla riunione della Casa Bianca, hanno timidamente dichiarato che si tratta comunque di un punto di partenza per un ritorno ai negoziati in un quadro internazionale guidato dagli Stati Uniti, gli editoriali sui maggiori quotidiani locali sono stati molto più espliciti: un piano del genere, che favorisce unicamente le aspirazioni del governo israeliano di destra a formalizzare l'annessione, fine dei sogni palestinesi di poter avere uno Stato, è assolutamente impraticabile.
E come sottolineato da Omar Shaban, ricercatore e analista politico che guida il gruppo Pal-Think for Strategic Studies, il piano del presidente americano ha immediatamente avuto un altro effetto, imprevisto o sottovalutato forse: è stato un regalo per l'Iran. Lasciare infatti Gerusalemme sotto il controllo israeliano, come capitale indivisa dello Stato ebraico, evidenzia Shaban, non farà altro che alimentare le "grida di battaglia di Hamas e di altri gruppi militanti a Gaza sostenuti da Tehran".
Ma c'è una altra grave conseguenza. Come prevedibile, l'acuirsi delle tensioni in Medio Oriente, ha fatto di nuovo precipitare la situazione in Yemen, con una impennata di violenza nel Nord del Paese, dopo alcuni mesi di relativa calma. I combattimenti tra le forze della coalizione a guida saudita e i ribelli Houthi si sono intensificati soprattutto in tre aree, a Nehm, vicino alla capitale Sana'a, nel distretto montuoso di Jawf e nella provincia di Marib. Preoccupanti le parole dell'inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen, Martin Griffiths, durante la sessione di emergenza organizzata nei giorni scorsi a New York, che ha sottolineato come mesi di sforzi sulla via della diplomazia e del dialogo, stiano rischiando di essere vanificati in pochi giorni. "Non è troppo tardi per cambiare rotta e disinnescare la situazione ora", ha dichiarato Griffiths, che invita tutte le parti a rinnovare il proprio impegno per una risoluzione pacifica del conflitto “perché il popolo yemenita – ha detto - merita di meglio di una vita di guerra perpetua".