Rischio di un "Armageddon nucleare": Biden lancia l'allarme
La corrispondenza da Washington di Marco Liconti (LA PRESSE)
Washington - C'è il rischio di un "Armageddon nucleare". Joe Biden ha evocato per la prima volta la possibilità concreta che Vladimir Putin, stretto all'angolo militarmente in Ucraina e di fronte alle difficoltà interne in Russia, possa fare ricorso all'arma atomica. Finora, il presidente degli Stati Uniti era stato molto cauto nel trattare l'argomento.
Recentemente, nel suo intervento all'Assemblea generale dell'Onu, Biden aveva ripetuto che la guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere combattuta. Per questo, il suo allarme è stato accolto con rinnovata preoccupazione, sia in America che in Europa, dopo che nei giorni scorsi il britannico Times aveva parlato di un allerta scattata tra i Paesi della Nato. La Casa Bianca si è affrettata a gettare acqua sul fuoco, precisando che non ci sono nuovi segnali che facciano presagire il ricorso ad armi nucleari in Ucraina da parte della Russia. Gli Stati Uniti, quindi, al momento non intendono modificare la propria postura nucleare.
Tuttavia, un retroscena pubblicato dal Washington Post indica che la leadership di Putin, secondo l'intelligence americana, non sarebbe più così solida. All'interno del Cremlino, anche i fedelissimi del presidente russo starebbero mettendo in discussione la sua condotta della guerra. Un Putin messo all'angolo, è il ragionamento, è ancora più pericoloso della versione che abbiamo conosciuto finora e, come ultimo tentativo di uscire dal pantano ucraino, potrebbe veramente fare ricorso all'arma nucleare.
Gli Stati Uniti e la Nato, a quel punto, sarebbero costretti a rispondere, col rischio di un'escalation incontrollabile. E' forse a questo che Biden pensava, quando ha evocato l'Armageddon. Il mondo, ha detto il presidente, si trova sull'orlo di una catastrofe come non avveniva dalla crisi dei missili di Cuba del 1962. All'epoca, gli Stati Uniti e l'allora Unione Sovietica seppero ciascuno fare un passo indietro.
La corrispondenza da Washington di Marco Liconti (LA PRESSE)
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