Quando già erano in decollo i primi cacciabombardieri - e dalle unità navali in Medio Oriente venivano lanciati missili cruise -, all'esterno della Casa Bianca manifestazioni di protesta contro questo nuovo passo verso l'escalation. De facto inevitabile – secondo alcuni analisti -, essendo minacciato uno dei principi base della proiezione di potenza dell'Egemone: il controllo degli stretti, e di conseguenza delle rotte marittime. E gli houthi erano stati chiari, negli ultimi giorni, nel ribadire la propria volontà di proseguire con gli attacchi alle navi dirette verso Israele. Inascoltati i moniti di Washington.
Da qui l'annunciata azione di forza. Salve di Tomahawk contro installazioni dei miliziani yemeniti. Obiettivo degradarne la capacità di offesa al traffico mercantile; vista anche la portata della minaccia rappresentata dai missili balistici antinave. A partecipare all'offensiva pure Eurofighter britannici; oltre al supporto di Canada, Australia, Olanda e Bahrein. Controintuitiva la successiva dichiarazione congiunta: i raid mirano a ripristinare “la stabilità nel Mar Rosso”.
A questo punto, tuttavia, zona di guerra a tutti gli effetti; come testimoniato dal deciso rialzo dei prezzi del petrolio. Arabia Saudita e Cina hanno espresso preoccupazione; mentre Mosca ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, definendo i raid una “distorsione” del contenuto della recente risoluzione adottata dall'organismo. Molto attesa, per ovvi motivi, la reazione di Teheran; dove sembra tuttavia prevalere la prudenza. Ferma condanna degli strike, ma nessuna apparente intenzione di lasciarsi coinvolgere in modo diretto.
Annunciata invece la rappresaglia, dai vertici Houthi; che hanno denunciato la morte di 5 combattenti negli attacchi.
Venti di guerra sull'intero quadrante; mentre continuano scontri e bombardamenti a Gaza: dove tutto ha avuto origine. Save the Children pone l'accento sulle ricadute del conflitto sui bambini dell'exclave; richiamando le stime del ministero della Sanità della Striscia: oltre 10.000 avrebbero perso la vita; l'1% della popolazione infantile. Tutto ciò nel giorno della seconda udienza del procedimento, a l'Aja, di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Con la replica di Israele alle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica. “L'intero caso si basa su una descrizione deliberatamente decontestualizzata e manipolatoria della realtà”, ha dichiarato un membro della squadra di Difesa. Ricordando l'innesco della crisi: i massacri compiuti da Hamas il 7 ottobre. “Se ci sono stati atti di genocidio – è stato detto -, sono stati perpetrati contro Israele”.