Riuniti a Seul con la missione impossibile di trovare un accordo su valute e commercio estero, i leader del G20 si trovano di fronte alla muraglia cinese. Pechino non è disposta a rinunciare alla svalutazione del cambio, vero motore della crescita del Paese attraverso l'export. Così si profila non un accordo ma un semplice compromesso che sembra destinato a non registrare passi avanti sui nodi chiave della vigilia. Di fronte all'ostinazione della Cina, però, gli Stati Uniti non sono rimasti a guardare: la Fed ha varato un nuovo ciclo di politica monetaria espansiva - comprerà 600 miliardi di titoli di Stato americani - che punta a rafforzare la ripresa, ma ha anche l'effetto di svalutare il dollaro. Intanto l'agenzia internazionale Moody's ha rivisto al rialzo il rating della Cina portandolo ad 'Aa3' dal precedente 'A1'. A motivare la decisione è la stabilità dell'economia cinese. Il dollaro cede terreno e lo yuan segna un nuovo massimo storico. Se, come é probabile, a Seul piuttosto che a un accordo si arriverà ad un compromesso di facciata che salvi le apparenze, alla fine l'area euro - assieme al Giappone - rischia di pagare per tutti: è stato l'euro, non lo yuan, a segnare un forte apprezzamento sul dollaro nelle ultime settimane, e se la guerra delle valute andrà avanti l'Europa ha molto da perdere.
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