Giornata mondiale contro la corruzione: l'intervento di Francesca Michelotti
La corruzione è tradimento, di un patto di lealtà, di un dovere morale, della deontologia professionale, dell’etica pubblica e personale, del proprio onore.
Ma lasciamo perdere le definizioni per immergerci in quella realtà del nostro Paese nella quale si può cogliere la distanza abissale tra azione ed etica pubblica. Abbiamo trascorso vent’anni sotto la coltre protettiva di un benessere senza domande e senza qualità.
Non è mancata, seppure minoritaria, la buona politica di chi invocava la questione morale, invitava alla prudenza e al rispetto delle regole, si batteva per mettere al riparo il patrimonio pubblico, ma l’effetto anestetizzante del benessere alimentava solo egoismo e cecità. Dietro alla buona politica di questo solitario manipolo di persone non si muovevano le piazze e fiumi di consenso, la torta era così grande che tutti, chi più chi meno, poteva aggiudicarsene un boccone. Oggi la torta non c’è più, si affacciano nella nostra scena sociale nuove sofferenze e povertà. La prima Repubblica è finita, la tolleranza è finita ed ora siamo alla resa dei conti. La crisi che morde il Paese da ormai cinque anni ha trovato una classe politica dominante penosamente inadeguata, paralizzata da un labirinto di compromessi e di veti incrociati che puntano più alla conservazione di sé stessa e dei contropoteri che la controllano, piuttosto che ad averne ragione spazzandoli via.
Le correnti carsiche del rapporto politico affaristico minano e sovvertono il rapporto fiduciario fra i cittadini e i loro delegati. Per questo la corruzione non è solo un problema di legalità violata, punibile e sanzionabile a norma di legge. Perché la corruzione, per restare impunita e continuare a prosperare, ha bisogno di farsi sistema, di fare ‘cultura’ come si dice: i grandi corruttori hanno bisogno di una rete di piccoli corrotti affinché la loro non resti solo una pratica, ma diventi un esempio da imitare o da emulare. Ha bisogno di abbassare gli indici della rispettabilità e della morale collettiva perché i corruttori hanno anche la pretesa di passare da uomini onorati, quando non anche da benefattori. Per queste ragioni la corruzione infligge a tutta la comunità un incommensurabile danno morale e materiale , perché dissolve, assieme alle risorse comuni, anche i valori della convivenza civile, il rispetto delle regole, la fiducia nelle proprie istituzioni democratiche e nella loro capacità di difendere l’interesse generale.
È la corruzione che regge il gioco ai gruppi di contropotere e cementa solidarietà innaturali di interessi, dando luogo a enormi profitti privati. Questi flussi di denaro hanno finanziato il consenso elettorale necessario per garantire il potere e la copertura politica dei comitati d’affari e così è andato a farsi friggere anche il funzionamento della democrazia. Ci hanno pensato loro a sostituirsi alla politica e a delineare il cosiddetto nuovo modello di sviluppo che si è incentrato principalmente nella sconsiderata promozione del distretto finanziario - per la cui problematicità l’intero paese era drammaticamente disattrezzato – e che è diventato l’incubatore di una nuova, gravissima fenomenologia della corruttela. La raccolta del ‘nero’ ha introdotto la categoria della corruzione di Stato, uno stato che viene meno ai suoi doveri di lealtà verso uno stato amico e che gira colpevolmente la testa dall’altra parte per non vedere, usando come alibi l’interesse collettivo. E’ dunque paradossale come l’interesse collettivo non abbia avuto accesso alle opportunità offerte dalla raccolta miliardaria delle nostre banche negli anni delle vacche grasse: i massicci investimenti immobiliari si affacciano su infrastrutture vecchie e inadeguate; l’economia reale delle imprese e del lavoro abbandonata al suo destino da una politica del credito abbacinata dalle sterili prospettive della speculazione finanziaria; il rafforzamento dello stato sociale rimasto sulla carta.
Invece la frattura tra ricchezza individuale e bene pubblico si è sempre più acuita e abbiamo assistito impotenti alla volgare ostentazione delle ricchezze ingiustificabili dei politici corrotti, cui faceva da contrappunto nel Paese un consumismo vuoto ed edonistico. Di quella ubriacatura collettiva oggi restano i macchinoni luccicanti parcheggiati ai bordi della superstrada con i cartelli ‘vendesi’ appiccicati ai finestrini e, naturalmente, le ricchezze dei politici parcheggiate invece in irraggiungibili conti esteri. Si favoleggia di decine e decine di milioni di euro, frutto della corruzione, che dovrebbero tornare alla comunità e che – se almeno fossero depositati in territorio - potrebbero alleviare la crisi di liquidità delle nostre banche. Ma tant’è.
E questo non è tutto. La fiorente piazza finanziaria sammarinese è diventata territorio di conquista e di scontro di influenti potentati esterni, veri e propri network di faccendieri, boiardi di stato, ministri e onorevoli corrotti, mediatori d’affari, spericolati imprenditori, che hanno cercato addentellati e protezioni nei partiti e fra i nostri politici più disonesti o sprovveduti, finendo per radicare la loro presenza anche in posizioni apicali del sistema, fin nella nostra diplomazia. Così San Marino è diventata una propaggine funzionale a un sistema ben più ampio, pericoloso e incontrollabile di corruttele pubbliche e private di scala ben superiore alle nostre dimensioni domestiche. A questo non eravamo preparati ed oggi siamo schiacciati da fenomeni totalmente fuori dalla nostra portata.
L’avvento della crisi mondiale ha acuito le criticità del sistema, aprendo le porte alla colonizzazione della criminalità organizzata che – come è ormai noto – è l’unica in tempo di crisi a disporre del denaro. E così il Paese, fra inchieste giornalistiche, rogatorie e indagini delle procure, ha perso di reputazione sperperando le sue prerogative sovrane per garantire impunità ai responsabili delle pratiche illecite.
Di fronte a questo quadro è desolante vedere come i partiti si chiudano in difesa dei loro esponenti coinvolti e li assolvano prematuramente solo per salvare i loro esausti equilibri interni, senza neppure conoscere i fatti. Addirittura qualcuno li nomina in incarichi di responsabilità e intanto accampano complotti e parlano di macchina del fango. Non così si acquista la legittimazione civile e morale per cambiare il Paese e attrezzarlo contro la corruzione. Allora diventa beffarda e insincera anche questa celebrazione e la insistita invocazione al bene del Paese. Lasciate perdere i proclami e lasciate che le persone investite di una funzione pubblica sulle quali grava il sospetto di pratiche illecite facciano il loro dovere di chiarezza e di trasparenza. Soprattutto di verità, dalla verità si potrà ricostruire il sistema di valori condivisi e di virtù civili, prima che politiche, con il quale finalmente ricominciare e - questa volta - veramente a testa alta.