La questione della Banca del Titano in Consiglio Grande e Generale
La crisi della Banca del Titano e della finanziaria di riferimento Gefin venne alla luce nei primi mesi del 2006. In base alle valutazioni ispettive della Banca Centrale si stimò che più di un terzo degli impieghi dell’istituto – pari, all’epoca, a 56 milioni di euro complessivi – era connotato da elevate previsioni di perdita e il patrimonio dell’istituto non era sufficiente a coprire il buco. Di fronte all’indisponibilità dell’istituto di far fronte alla situazione il Congresso di Stato, con delibera del 28 marzo 2006, ha sciolto gli organi amministrativi della Banca del Titano, disponendo al contempo l’amministrazione straordinaria. Il commissariamento è stato prorogato fino al 22 novembre quando il controllo della Banca del Titano è passato nelle mani di due fiduciare – una sammarinese e una italiana – che operano per conto di di un gruppo di imprenditori e imprese estere capitanate dalla IFIM spa. Per ripianare il buco della Banca del Titano, nell’operazione di salvataggio, lo stato contribuisce con 10.5 milioni di euro e con 3.5 milioni di euro di crediti di imposta. E proprio la decisione di mettere a disposizione fondi pubblici per salvare una banca privata ha sollevato la polemica tra maggioranza e opposizione. La finanziaria Gefin, nel frattempo, e già dall’inizio del 2007, è stata ri-capitalizzata e quindi è uscita dalla crisi. Lo Stato, attraverso azione civile “aquiliana” potrà “rifarsi” su amministratori, sindaci, dirigenti e revisori della Banca del Titano. Nei confronti del direttore generale della società di revisione dei conti della Banca del Titano e anche nei confronti del funzionario incaricato, tale David Crackett, il commissario straordinario ha già avviato una causa civile.
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