Rete: "Nella Tangentopoli sammarinese il Tribunale nomina anche Macina e Felici"
1) La tangentopoli coinvolge Macina e Felici all’epoca del Partito dei Democratici, quando Felici era Segretario di Stato all’Industria (ruolo ricoperto dal 2003 al 2006). Macina invece è stato Segretario alle Finanze dal 2006 al 2008. Durante questi periodi il PdD è stato al governo un po’ con tutti: socialisti, democristiani, AP, SU, e si è unificato con i socialisti dando vita al PSD la cui nascita, secondo i magistrati, “segna la definitiva omologazione all’assetto politico dominante e di governo”.
2) Mentre era Segretario all’Industria, dice il Tribunale, Felici creò le premesse normative, per “un finto mercato libero” delle telecomunicazioni. Lui creava le leggi, Giuseppe Roberti trovava il fornitore di tangenti, la Fondazione Podeschi le veicolava occultando i proventi. Un’operazione pilotata – scrive L’informazione – con la designazione di San Marino Telecom come migliore offerente. Ecco cosa intendiamo quando diciamo che le leggi non vengono fatte per il paese ma per interessi personali. Ogni persona, politico, imprenditore, dirigente, impiegato che si è lasciato corrompere da questo meccanismo ne è diventato un ingranaggio vitale alla sopravvivenza.
Insomma, Felici e Macina sono entrati a far parte di quella che gli inquirenti ritengono un’organizzazione criminale che evidentemente era trasversale tra PdD, poi PSD, Socialisti e DC. Chissà quali sono le motivazioni che li hanno spinti a entrare nel cerchio. Di sicuro sappiamo cosa ha spinto Claudio Podeschi, considerato che i magistrati parlano di costosi gioielli e ancor più costose abitudini: consumo smodato di champagne, auto di lusso, immobili ecc. Quell’esibizionismo che è sempre servito, e serve tuttora, a suscitare un senso di reverenza da parte dei cittadini più inclini al soldo facile, quelli che fanno coincidere la ricchezza con il potere, nonostante quella stessa ricchezza sia stata costruita alle spalle e sulla pelle dei cittadini stessi. Reverenza che ancora permette a Podeschi, da dentro il carcere, di attivare i suoi contatti per muovere le proprie disponibilità economiche all’estero. È anche per questo che i magistrati hanno disposto per lui una nuova custodia cautelare, oltre che per il pericolo di fuga, reiterazione del reato, rischio inquinamento delle prove. La stampa parla di un sistema spartitorio ben congegnato tra Gabriele Gatti (che a tutt’oggi risulta non indagato), Fiorenzo Stolfi e Claudio Podeschi, che poi avrebbero ingaggiato anche Macina e Felici..e chissà quanti altri ancora di cui le indagini non parlano, viene da pensare.
Ancora una volta deve essere chiaro che non basta individuare qualche nome per risolvere i problemi. Perché se vengono approvate leggi che favoriscono interessi personali, non è solo una persona ma un governo e una maggioranza intera a consentirlo. Se i controlli sono volutamente superficiali è perché le persone che dovrebbero portarli avanti sono volutamente silenti. Con buona pace del PSD che oggi si affretta a ricordare di aver tenuto a battesimo le leggi antiriciclaggio e si appella al codice etico interno quale testimone della propria serietà. Del resto, di leggi vuote e inapplicate i governi ne hanno promosse un’infinità, così come capita per le istanze d’arengo e gli ordini del giorno approvati e mai attuati. Del resto, nella sua veste di Segretario agli Esteri, lo stesso Fiorenzo Stolfi aveva dichiarato nel 2008, in occasione dell’adesione di San Marino al GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione): “Non abbiamo elementi per dire che questo fenomeno (la corruzione) esiste nella Repubblica” ma “non è detto che se un evento non è riscontrato allora non ci sia bisogno di prevenirlo”. Sei anni dopo Stolfi viene arrestato, ed è ancora ai domiciliari, con accuse di corruzione e riciclaggio e il PSD riesce a malapena a sospenderlo dal proprio direttivo. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. L’onnipresenza di questi personaggi (e dei loro galoppini) al governo, in tutte le salse, un po’ con tutti i partiti, da soli o unificati, dimostra ancora una volta che anche in politica vale la regola della proprietà commutativa: cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia.
Comunicato Stampa
Movimento Rete