Scissione Pd, la minoranza fa già i conti di quanti parlamentari disporrebbe
Ha detto di non voler cedere al ricatto, e che nessuno può chiedergli di non ricandidarsi. E un paio d'ore dopo l'assemblea nazionale del Pd, gli “scissionisti” Emiliano, Rossi e Speranza fanno sapere di volersene andare. Eppure durante l'assemblea Emiliano aveva lasciato intendere chiaramente di poter ricucire lo strappo. La minoranza non lo dice apertamente, ma il pomo della discordia è solo lui, Matteo Renzi, la sua voglia di tornare in prima linea, come candidato segretario alle primarie di maggio e poi, spera, come candidato premier.
Non sono serviti gli accorati appelli della vecchia guardia, da Fassino a Veltroni, che ha ammonito “così si torna al passato”, paventando la facile vittoria delle destre, con una sinistra così frastagliata.
Domani nuova direzione del Pd, ma all'addio mancherebbe solo l'atto formale. Enrico Rossi dice di non voler più stare nel partito di Renzi e che sta già pensando al nome della nuova forza politica. Non è il solo: i “bersaniani” che dovrebbero uscire, alla Camera sarebbero 22 e puntano ad aggregarsi con la neonata Sinistra Italiana e col nuovo progetto di Giuliano Pisapia.
I primi però porrebbero come condizione la sfiducia al governo Gentiloni. L'ultimo a provare la mediazione è il ministro Orlando: se serve a evitare la rottura, ha detto, mi candido. Chiede una conferenza programmatica pre congressuale, ma Renzi sembra convinto della sua inutilità, perché “qualsiasi cosa abbia accettato di fare, non è stata sufficiente”.
Francesca Biliotti