Umberto Bossi non è più il segretario della Lega. A vent'anni esatti dalla prima vera vittoria politica del Carroccio, il senatur lascia la segreteria, travolto dalle indagini sul tesoriere Belsito, pure lui silurato e sostituito da Stefano Stefani. Dimissioni «irrevocabili» e inaspettate, presentate al consiglio federale di Via Bellerio dopo la pubblicazione di stralci di indagine secondo cui il denaro sottratto dalle casse della Lega serviva a finanziare le spese di Bossi e della sua famiglia. Fino al congresso - secondo lo statuto dovrà essere celebrato entro un mese – a reggere il partito anche durante le amministrative, che a questo punto per la Lega si annunciano come un bagno di sangue, sarà un triunvrato: ne faranno parte Maroni, che da tempo chiedeva la testa di Bossi, ma anche Calderoli (pure lui coinvolto nell’inchiesta) e Manuela Dal Lago. Fino al congresso, Bossi sarà solo presidente del partito da lui fondato: una carica sostanzialmente onorifica. Di Pietro saluta come “un atto dovuto” le dimissioni del senatur, che continua ad essere difeso a spada tratta dal “cerchio magico”. Bocche cucite nel Pdl, anche se Berlusconi nei giorni scorsi aveva espresso solidarietà all’”amico Umberto”. E intanto, mentre il ministro Severino vede “ampi spazi per una riforma condivisa” della Giustizia, si annuncia in salita il percorso parlamentare della riforma del mercato del lavoro che Monti si dice sicuro verrà compresa da cittadini e sindacati, ribadendo che il suo è “un governo a termine”. Il Pdl alza il tiro, con Gasparri che accusa il premier di aver “ceduto a Bersani” e chiede “modifiche” al testo.
da Roma Francesco Bongarrà
da Roma Francesco Bongarrà
Riproduzione riservata ©