Sindacato Reggenza, le motivazioni dei Garanti: "Non è strumento per introdurre improprie forme di censura politica"
Nessuna responsabilità istituzionale imputabile agli ex Capitani Reggenti ed un richiamo a non utilizzare l'azione di sindacato in maniera strumentale a fini politici. Sono gli aspetti centrali messi in luce dai Saggi nella sentenza del 21 maggio scorso. La contestazione contenuta nel ricorso riguardava una “violazione delle norme costituzionali sui poteri e doveri della Reggenza nell'esercizio delle attribuzioni connesse alla promulgazione delle leggi”, nella fattispecie quella della Legge di Bilancio in quanto “priva delle necessarie coperture”, senza aver prima rinviato al Consiglio Grande e Generale per una successiva deliberazione. In punto di diritto il Collegio Garante entra nel merito e fa notare come in realtà “non sussista alcun obbligo di rinvio, prima della promulgazione, in capo alla Reggenza, è semmai facoltà dei Capi di Stato avvalersi di tale potere”. In altre parole, senza obbligo non può sussistere neppure “illecito omissivo e dunque alcuna responsabilità istituzionale”. Se in sostanza il fine dei ricorrenti era quello di affermare l'incostituzionalità della norma, avrebbero potuto avvalersi di strumenti diversi da quelli del Sindacato, il cui “uso è del tutto improprio – sostengono i Garanti - quando finalizzato alla lotta politica attraverso mezzi diversi da quelli istituzionalmente previsti dall'ordinamento o attraverso il confronto, anche acceso, nella società”. In un altro passaggio viene rimarcato inoltre come "chi voglia far valere la responsabilità in capo alla Reggenza non possa evocare ragioni di "opportunità politica", né avvalersi dello strumento del sindacato per introdurre improprie forme di censura politica dell'operato dei Capitani Reggenti". Quindi l'auspicio affinché “in futuro si diffonda sempre di più la consapevolezza di come il piano della lotta politica e quello della responsabilità giuridica siano e debbano restare distinti. Il rischio – insistono i Garanti - è infatti che, alla lunga, un uso distorto dell'azione di sindacato possa delegittimare le istituzioni con danno per tutti, compresi coloro che si prestassero a tali iniziative strumentali ”. I Supremi Giudici motivano anche la decisione di non riconoscere la temerarietà dell'azione di sindacato da parte dei ricorrenti e la conseguente trasmissione degli atti in Tribunale, come invece richiesto dalle difese dei decorsi Capi di Stato, rilevando che tale riconoscimento “debba limitarsi a situazioni ben circostanziate in cui emerga con chiarezza l'intento distorsivo e abnorme della pretesa”. E qui tale circostanza non si è verificata. Fatto sta che “l'azione di sindacato - aggiungono - ha concorso nel tempo, anche grazie all'ampia apertura dell'istituto all'iniziativa di qualsiasi cittadino, a rafforzare le istituzioni costituzionali che non si sottraggono al controllo diffuso dei sottoposti e rimangono esposte allo scrutinio di responsabilità”.
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Su questo interviene anche la maggioranza per dire che le motivazioni del Collegio Garante hanno messo in luce l’uso improprio dello strumento del Sindacato della Reggenza che, quando utilizzato per la mera lotta politica, non può fare altro che screditare le istituzioni a danno di tutti. Il dibattito politico, ribadisce Adesso.sm, dovrebbe avere degli argini ben definiti, ma a causa di azioni così esagerate poste in essere dalle opposizioni, si trasforma in scontro istituzionale, con la pretesa – addirittura – di coinvolgere istituzioni che per loro natura dovrebbero rimanere estranee al dibattito stesso.