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Valeria Ciavatta sul Conto Mazzini

5 dic 2013
Valeria Ciavatta sul Conto Mazzini
Valeria Ciavatta sul Conto Mazzini
A seguito di rivelazioni giornalistiche, nel marzo scorso il Consiglio Grande e Generale all’unanimità ha approvato un ordine del giorno per prendere posizione di fronte alla classe politica e ai cittadini. Una speciale commissione d’inchiesta, invocata da alcuni consiglieri, avrebbe potuto interferire con le indagini giudiziarie che sembravano in stadio avanzato, per cui, d’accordo tutti i Gruppi, il Consiglio ha deliberato che la Commissione Consiliare per gli Affari di Giustizia dovesse essere informata il prima possibile per poi riferire al Consiglio stesso per consentirgli di accertare eventuali responsabilità legate all’esercizio di incarichi pubblici.
I documenti sono stati sequestrati già da due anni. Due avvisi di garanzia sono stati recapitati da mesi insieme alle ormai famose quaranta pagine. Di conseguenza, i soggetti coinvolti conoscono da mesi, in tutto o in parte, le indagini giudiziarie di cui sono protagonisti o in veste di indagati o perché risulta abbiano prelevato ingenti somme di denaro.
La Commissione, come di dovere, ha chiesto il riferimento del Magistrato Dirigente ed ha diligentemente accettato l’opposizione del segreto istruttorio a più riprese. Un segreto assoluto, in virtù del quale la Commissione non ha avuto informazioni su nulla, neppure sui fascicoli e sui tempi presumibili per la conclusione della fase inquirente.
Un segreto che però non vale per gli indagati “avvisati” ai sensi della legge sul giusto processo e, giocoforza, per i soggetti ad essi legati nelle vicende ivi descritte. Il rischio di inquinamento delle prove è reale. Questo caso rende evidente la necessità di rivedere alcune norme (o la loro interpretazione?) della legge sul giusto processo alla luce della sua applicazione.
Ma per il momento le istituzioni non ci fanno una bella figura.
Ogni volta che escono indiscrezioni su vicende giudiziarie che coinvolgono l’esercizio di pubblici poteri, in attesa che il Tribunale si pronunci, nasce il legittimo timore che la cattiva politica possa prevalere attivando minacce e ricatti incrociati e condizionando decisioni importanti per lo Stato ed i cittadini e quindi lo stesso funzionamento dei presidi democratici. Non a caso gli organi istituzionali chiedono sempre al Tribunale di fare presto: per sgomberare le lunghe ombre proiettate su organi dello Stato che, in quanto tali, dovrebbero essere riconosciuti come autorevoli e legittimamente operanti, sia dai cittadini che dagli interlocutori esterni.
Il Consiglio Grande e Generale e la Commissione hanno atteso ed attendono che il Tribunale faccia il suo lavoro e rimetta loro gli atti utili ad accertare le responsabilità politico-istituzionali, rispetto alle quali non rilevano archiviazioni, prescrizioni o condanne in ambito penale.
Eventuali indebiti comportamenti in ambito politico istituzionale devono infatti essere perseguiti e le istituzioni devono svolgere i loro compiti, non potendo rimanere relegate in una condizione attendista per troppo tempo.

Valeria Ciavatta

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