Kobe Bryant un giocatore, una filosofia di vita
Chi era veramente la leggenda del basket che vinse un Oscar
Da bambino Kobe Bryant era il piccolo idolo dei tifosi delle squadre dove giocava il suo papà, in Italia. Nell’intervallo delle partite di "papà Joe", il piccolo Kobe tirava da solo a canestro e raramente sbagliava la retina. Studiava da campione già in quell’infanzia trascorsa nella provincia italiana, fra Reggio Calabria, Rieti, Reggio Emilia e Pistoia. Suo nonno dall’America gli mandava le videocassette dei grandi dell'epoca, Magic Johnson e Michael Jordan, perché imparasse...Lui. E Kobe Imparò. Lo fece talmente bene, quel ragazzino classe 1978 alto quasi due metri, che esordì nell’Nba senza nemmeno passare dal campionato universitario, che è, da sempre, la via maestra per tutti i grandi del basket Usa. «Non l’aveva detto a nessuno ma dentro di se ne era convinto: sarebbe diventato il giocatore più forte del mondo». Fu scelto dai Charlotte Hornets per passare subito a quei Los Angeles Lakers che non avrebbe mai più lasciato.
Gli stessi Los Angeles Lakers hanno ritirato in un colpo solo le sue due maglie: la 8 e la 24 ( 8 era il suo numero a scuola, ma nel momento dell’arrivo ai Lakers non era disponibile) indossate da Kobe nei suoi 20 anni di carriera con i gialloviola. Alla cerimonia ci è andato con la moglie Vanessa, sposata quando erano giovanissimi e le figlie. Mancava ancora la piccola Capri. C’erano Gianna, con lui nell’incidente in elicottero del 26 gennaio, Bianca e Natalia. Nomi italiani, la lingua che ancora ricordava e parlava, magari guardando le partite le Milan per cui faceva il tifo. Kobe è stato il più giovane giocatore dell’All Star Game disputandolo a soli 19 anni e 175 giorni. Quell’ 8 febbraio 1998 è miglior realizzatore con 280 Punti. Più giovane giocatore ad essere stato scelto nel NBA All-Rookie Team Più giovane giocatore ad avere segnato 33.000 punti e quarto miglior realizzatore di sempre in Nba. sono 81i punti segnati in una sola gara.Poi 5 titoli Nba. 5 titoli Nba. 2 ori olimpici. Kobe Bryant non è stato solo un giocatore di pallacanestro, seppur eccezionale, è una filosofia di vita.
Lo psicologo George Mumford, che ha lavorato con lui e con Michael Jordan dice di entrambi: «è la loro inattaccabile sicurezza di sé a collocarli in una categoria a parte». Si va ben oltre il parquet. Da giovane spavaldo venne soprannominato Showboat, che vuol dire fenomeno, ma nel senso di esibizionista. Il soprannome glielo diede Shaquille O’Neal, che proprio non lo amava all’inizio. Dotato di un talento straordinario, ma l’ha sempre alimentato con tanto lavoro, con una serietà e un’etica professionale incredibile. Il punto non è essere Kobe Bryant, ma diventare il Kobe Bryant di se stessi». Mamba Out è stato il suo addio con una stagione che è stata una passerella e una partita finale in cui ha segnato 60 punti. Mai è finito l’amore per il basket. A cui ha scritto una lettera di addio talmente bella che è diventata un cortometraggio premiato con l’Oscar.
«Sono pronto a lasciarti andare. Sappiamo entrambi, indipendentemente da cosa farò, che rimarrò per sempre quel bambino con i calzini arrotolati, bidone della spazzatura nell’angolo, 5 secondi da giocare. Palla tra le mie mani. 5… 4… 3… 2… 1…
Ti ameremo per sempre, Kobe».
.