CURIOSITÀ

Le parole "romagnole"

che il mondo ci invidia

Il romagnolo è una lingua in via di estinzione che racconta un mondo che non c’è più. Le parole romagnole dipingono quel mondo fatto di campagna e collina, mare, montagna e piccoli borghi che componeva la Romagna. Dicono.

ASPETTA UN ATTIMO! Quel mondo c’è ancora! Ed è sempre lì in Romagna. Allora vale la pena dare slancio alla lingua che lo racconta.

Le parole romagnole non sono uguali a quelle delle altre lingue. Per chissà quale motivo certe robe non si riescono proprio a tradurre. Se solo “gli altri” riuscissero a capirle veramente ce le invidierebbero sul serio.

Ecco allora le parole che descrivono al meglio la nostra romagnolitudine:

-Pataca: “Patacca“. Questa è forse la più famosa delle parole romagnole. Significa “minchione”, “sciocco”. Ma bastano questi due significati per tradurre il termine “patacca”? Decisamente no. Hai voglia quante cose può voler dire.

-Sburon (“sborone”). Se dovessimo tradurre la parola significherebbe qualcosa come “esibizionista, sbruffone”. Ma se invece ci chiedessero di fare l’etimologia, ecco, questo potrebbe diventare imbarazzante.

-Valà. Tecnicamente sono due parole “va” e “là”. Tanto semplice. Eppure questa parola è magica e riesce a distruggere qualunque ragionamento, offesa o teoria. Mandando l’interlocutore in un non meglio definito “là”.

-La pieda o pida (“piadina” o “piada”). Questa parola, sì, la capiscono tutti e tutti ce la invidiano. Perchè buona come la mangi in Romagna non la trovi da nessuna parte

-Cutvegna. Anche questa tecnicamente è più di una parola, e si tradurrebbe come “che ti venisse” (un colpo). Che però sottolinea la naturale propensione dei romagnoli ad augurare il meglio ai propri interlocutori.

-Burdél. Termine che chiunque sia stato in Romagna conosce. Viene usato come sinonimo di “ragazzo”. Ma forse non tutti sanno che in realtà deriva da un tardo latinaccio “burdus” che significa mulo. Il mulo tutti sappiamo che è un incrocio fra un asino e una cavalla, un ibrido. Un bastardo. Infatti il vero significato di burdél è proprio”bastardo”. Testimonianza del fatto che il romagnolo ama profondamente il prossimo

-Svarnaza. Termine di uso comune che significa disordinato, sfaticato. Ma quante altre cose? Come ciascuna delle parole romagnole anche questa più che un significato ha il volto delle persone a cui lo indirizziamo.

-Ignurantaz. Quando in Romagna si vuole dare a qualcuno del’ignorante non si dice semplicemente che è ignorante. Ma che è un ignorantaccio. Il romagnolo è così: le cose o sono nette e rimarcate oppure non gli interessano.

-Amarcord. I romagnoli se sono ben imbottiti di cappelletti vincono i premi Oscar. Grazie a quell’Oscar di Fellini tutto il mondo ha conosciuto la parola “Amarcord” che tecnicamente poi non è una sola parola. Ma un unico verso che apre il cuore alla malinconia di un passato fatto di campagna, tradizioni fantamillenarie ed emozioni incontenibili che esplodono come solo in Romagna si può fare.

-Ciò. “Ciò” vuol dire tutto e non vuol dire niente. All’inizio di una frase mette l’interlocutore sul chi vive, come uno schiaffetto dato sul naso. Se però viene messo dopo “oi” io non saprei proprio più come tradurlo in altre lingue. Eppure lo saprei usare. Tu come lo tradurresti?

-Bastérd. Il termine “bastardo” esiste in tutte le lingue. Ma l’uso che se ne fa in romagnolo è del tutto singolare. In alcune zone (in particolare nell’imolese e nel forlivese) vengono chiamati “bastérd” bambini e ragazzini.

-Invurnì. Un invornito è uno stordito, un intontito, un addormentato. E i romagnoli semplicemente non lo possono sopportare-

-Òscia. Letteralmente “ostia”, a volte declinato al plurale “osci”. Non è un augurio di andare nella nota località del litorale romano, ma una esclamazione che ricorda sempre l’ambivalente rapporto del romagnolo con la sfera del sacro.

Ce ne sono poi tante altre che forse è meglio non "pronunciare", ma che fanno del nostro dialetto, un qualcosa di simpaticamente unico ed originale, così come si è tutti noi qui in Romagna..

Av salut.

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