Campiglio, giugno 1999. Così si uccide un campione, anche se a troppi ha fatto comodo pensare e scrivere di un Residence ultima triste dimora. Non muore in una camera da 50 euro al giorno prima colazione compresa, un campione. Muore quando si uccidono i suoi sogni. Che non fosse un uomo perfetto, Marco, può essere anche la verità, ma chi è perfetto e soprattutto chi può dare la patente di buono a chi. Marco era la fantasia, la classe, l’esuberanza e il divertimento, l’impresa e la discesa, la discoteca e gli amici che chissà se erano amici. Perché oggi Marco è mito più di Merkx che pure vinceva in un anno quanto Pantani ha vinto in una carriera. L’uomo che viene dal mare e spiana le montagne e diventa signore delle cime e il ciclismo rivive non rivive i tempi di Coppi e Bartali solo perché non c’erano Guelfi e Ghibellini, erano tutti per lui. L’immortalità delle sue imprese fa a pugni con la meschinità di chi quando ha chiuso le ali si è dimenato a cercar l’ultimo spacciatore. Sarebbe stato meglio trovare il primo. E comunque in una dimensione oltre la morte, di rinnovato candore, è il caso solo di ricordare che se ne è andato alle 5 della sera come il torero di Garcia Lorca.
Roberto Chiesa
Roberto Chiesa
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