Il campione non ha età, l’uomo ha 70 anni. E li porta come chi che da 15 lotta contro il Parkinson, li porta da uomo coraggioso nel tirar pugni come nel mostrarsi malfermo e sofferente picchiato dalla vita. Mohammad Alì-Cassius Clay è molto di più di quel che era, di quel grande innovatore della boxe che stava sul ring con le movenze di un danzatore. Oro dei mediomassimi alle Olimpiadi di Roma, campione del mondo dei massimi all’età di 22 anni. Di lì l’idea di sfruttare fama e successo per dare una mano a chi sta peggio, per raccontare che pure un ragazzo nero del Kentucky, figlio di un artista di strada che disegnava madonne sui marciapiedi può fare gesti importanti. Come quella di rifiutare di andare a combattere in Vietnam. “Non sono comunista –dice a Gianni Minà in una delle interviste più belle di tutti i tempi- solo un buon musulmano”. E grazie a quel gesto la Corte Suprema Americana rivede la legge sull’obiezione di coscienza. Sono quelli gli anni nei quali abbandona il nome di Cassius Clay imposto ai suoi avi dei padroni bianchi in favore di Mohammad Alì. E oggi che il campione è fissato per sempre nella storia dello sport e del mondo, l’uomo fa 70 anni. Raccoglie fondi per chi ha la sua stessa malattia e meno voce per parlare. Oggi barcolla e commuove. Combatte per non finire al tappeto con la grinta di quando al tappeto mandava gli avversari.
Roberto Chiesa
I più letti della settimana:
{{title}}
Questo sito fa uso di cookie, anche di terze parti, necessari al funzionamento e utili alle finalità illustrate nella privacy e cookie policy. Per maggiori dettagli o negare il consenso a tutti o alcuni cookie consulta la nostra privacy & cookie policy