Si dice che i 50 segnino la mezza età. Ma chissà cosa fissano in Maradona. Che è stato quanto si solito non si riesce ad essere in 7, 8 vite. Grande e piccolo, campione e cattivo esempio. Lo abbiamo visto magro, grasso, moro, biondo, con e senza barba e pizzetto, con e senza collane e orecchini. Lo abbiamo visto incantare le platee di mezzo mondo fare e disfare, fatto e disfatto. “Se avesse il cervello collegato ai piedi - scrisse di lui Jorge Valdano - sarebbe una macchina perfetta”. Forse no, perché nell’imperfezione sta tutta la grandezza del Pibe. Nessuno sconto a sé e agli altri. Sempre il numero uno, sempre in prima linea nell’essere idolo quanto nel buttarsi via. Non è bello e nemmeno elegante ricordare quello che ha vinto. Sì, va bene, in ordine sparso. Dal Mondiale in giù, dai premi ufficiali quelli di borgata, i più graditi perché Diego è zero per l’etichetta e campione lo è per aver parlato al cuore della gente. Anche a sproposito, anche inebetito dalla Cocaina Maradona c’era. E ci metteva la faccia. Un sorriso o un colpo di fucile, vai a capire, ma c’era. Fa strano ricordarlo al Mondiale legato e compresso come un cotechino dentro un doppiopetto grigio troppo grande e troppo piccolo per lui. E se è difficile riassumere i primi 50 anni da Pibe de Oro, è impossibile intuire i prossimi. Una finta, un colpo d’ala, una giocata alla Maradona.
Roberto Chiesa
Roberto Chiesa
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