E' morto Gimondi, in bici fece sognare l'Italia
Era uno dei 7 aver vinto Giro d'Italia, Vuelta e Tour de France
Non ci fosse di mezzo una cosa grave come la morte potrebbe sembrare uno scherzo. Gimondi che volava in bicicletta e mangiava chilometri su chilometri, Gimondi che della fatica in montagna ha fatto il suo marchio di fabbrica è morto in vacanza al mare stroncato dal relax all'alba dei 77 che avrebbe compiuto tra un mese. Ha ceduto il cuore, un infarto pare, come un turista qualunque, come un uomo qualunque. Lui che proprio qualunque non era, anzi. Era uno dei 7 a poter raccontare di aver vinto Giro, Vuelta e Tour. Altro che eterno secondo. Quell'etichetta ingenerosa e falsa appioppatagli dai tifosi di Merckx e se qualche volta arrivava alle spalle del belga voleva pur sempre dire primo degli umani. Ai grandi Giri ha abbinato un Mondiale a Barcellona, il pavè della Roubaix, il fascino della Sanremo. Lui ultima frontiera al dominio del Cannibale, una specie di resistenza sportiva che stimolò l'estro del sommo Brera capace di definirlo Nuvola Rossa. Nelle quindici stagioni da pro vinse in totale 141 corse. Basterebbe così, invece ce n'è ancora.
Nel frattempo era diventato un film, e due canzoni con l'antologico Ruggeri "La gola che chiede da bere, c'è un'altra salita da fare, per me, che sono fuggito subito" e il dissacrante Elio "sono Gimondi con gli occhi rotondi, la testa quadrata, la bici scassata".
Bergamasco di poche e sensatissime parole, di sorrisi misurati, di senso pratico e cultura del lavoro. Al suo da postino, per esempio, rinunciò solo dopo aver vinto il Tour e capito che di ciclismo si poteva non solo campicchiare, ma viver bene. Dopo il ritiro Gimondi fu Direttore Sportivo della Gewiss-Bianchi e successivamente Presidente della Mercatone Uno, la squadra di Marco Pantani. Oggi il mondo del ciclismo lo piange e lo piangono anche a San Marino i dirigenti della Juvenes con i quali era legato da amicizia di lunga data, da quando nel 1968 vinse la crono del Giro d'Italia proprio a San Marino.