Ha vinto Vettel ma è stato uno tsunami vestito di rosso. Di solito sono gli addetti ai lavori a infierire e scodellare metafore per descrivere un impresa sportiva. Disastro od opera d’arte, suicidio o capolavoro. Nell’occasione del Gran Premio di Abu Dhabi che ha laureato campione del mondo il pilota tedesco Vettel non c’è bisogno. Hanno fatto tutto i ferraristi, arrivati lì lì per regalarci un sogno. A caldo hanno intonato subito il mea culpa. Che sì, col senno di poi, non dovevano cambiare le gomme ad Alonso. Che sì, non dovevano giocare in difesa guardando solo quello che faceva Webber. Pianto di coccodrillo. Perché un errore del genere gli italiani se lo sarebbero aspettato da un carrozziere qualsiasi ma non dal team più prestigioso della Formula 1. Tre le assurdità: marcare Webber con due macchine; temere il degrado delle gomme morbide che invece non c’è stato. Infine non considerare il traffico in pista. In pratica ai box Ferrari non si è proprio pensato. Incredibile. Finite le recriminazioni due considerazioni: la Red Bull era la macchina più forte senza dubbio e senza i regali di metà stagione avrebbe vinto il titolo già ad agosto. Due: la Ferrari senza Alonso non sarebbe mai arrivata a contendergli il titolo fino all’ultimo. Onore al pilota asturiano, il migliore in circolazione. E’ collaudatore, è velocissimo e sa far squadra. Di qui la Ferrari dovrà ripartire per rifarsi l’anno prossimo chiarendo anche a Massa che dovrà fare il secondo.
Piero Arcide
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