Il 2 gennaio 1960 moriva Fausto Coppi
L'airone ha chiuso le ali all'alba di 63 anni fa. La morte convoca all'alba anche le leggende. E Fausto Coppi era da solo la metà del mondo che divideva con Gino Bartoli. O l'uno o l'altro, o guelfi o ghibellini. Fausto fa rima con cinque Giri d'Italia, due Tour de France e tre Mondiali. E qualche chilo di classiche di contorno. Taciturno e timido, vinceva e non alzava le braccia come fosse una cosa normale, vinceva senza sorridere "quasi scusandosi -scriveva Gianni Mura- di aver staccato tutti. Un'improbabile fisico di cristallo, eppure perfetto per guardarci dentro la classe del predestinato. Programmato come il più moderno degli atleti (solo qualche coppa di champagne fuori stagione), Coppi pedalava. E poi mille iconiche immagini, la borraccia, la fuga, i gregari, la giustizia (con la dama bianca, le nozze in Messico e il figlio della colpa nato in Argentina). Fausto da Castellania tifava il Toro. E quando muore di ritorno da una battuta di caccia in Burkina Faso, muore di malaria. Che all'ospedale di Tortona scambiano per influenza. Non si chiamava ancora malasanità, ma Coppi è un precursore anche in questo. Andava piano, negli ultimi tempi. Andava a ingaggio vendendo il suo nome e la sua grandezza. È morto prima di diventare normale salvando il mito, lasciando la scena -per il cinico Brera- al circo dei secondi.
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