L’Italia è in finale. E meritatamente in finale, al termine dei 120 minuti tra i più intensi della storia del calcio. 2-0 ai tedeschi, ai quali lasciamo volentieri insulti e bruciori. 0-0 dopo novanta minuti con più Italia che Germania, ma con quell’equilibrio che non ne voleva sapere di spezzarsi. Meglio gli azzurri nel primo tempo. Più lucidi, più corti, più squadra. Qualcosa di germanico invece nella ripresa, con il cuore che faceva la spola tra gola e stomaco. E Buffon che fa meglio di un farmaco salvavita. Niente, ci vogliono i supplementari e sembra girare tutto male. Un paese intero mette a repentaglio in un solo minuto duemila anni di tradizione cattolica, sul palo di Gilardino, che ha sostituito Toni e chi ha resistito alla tentazione del moccolo libero è caduto subito dopo, quando anche il siluro di Zambrotta si è infranto su un legno. Si materializza l’incubo dei calci di rigore, ma il mondiale scrive storie bellissime e unisce antitesi da romanzo. Prendiamo Pirlo, testa lucida e piedi educati: un predestinato. La mette a Grosso, il famoso su mille che ce l’ha fatto. 4 anni fa, quando i coreani ci buttavano fuori dal mondiale, lui si giocava la C1 a Chieti. In Germania ci inventa un sinistro a giro che fa schizzare la minima a 180. Stesi i tedeschi, che ne prendono un altro quando la festa è già cominciata. Altro segno del destino, marca Del Piero, del quale è stato scritto che momenti importanti non c’è mai: ha scelto un mondiale per la rivincita. Domenica l’ultimo atto.
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