Il bilancio olimpico sammarinese non può non annoverare qualche passività alla voce soddisfazione: per come è andata, non certamente per come è stata impostata e svolta. Due ragazzi, giovanissimi, che troveranno posto nel Museo Olimpico del CONS: l'uno il più giovane tra gli sciatori di Rosa Khutor, in assoluto tra quelli della storia olimpica sammarinese. L'altra la prima ragazza a rappresentare la Repubblica di San Marino all'ombra dei cinque cerchi.
Minimo comune denominatore delle due gare la sfortuna: Federica Selva è partita convinta, aggressiva, su una neve che neve non era, macinata dalle 87 contendenti scese prima di lei. Visibilità scarsa, manto indecente. La sua Olimpiade è durata appena 6 porte. Nella valigia l'orgoglio di esserci stata, la cattiveria e la voglia di rifarsi – tra quattro anni – a Pyeongchang.
Quella non mancherà neppure a Vicenzo Michelotti: poco più di due secondi e mezzo dall'olimpionico Ted Ligety al primo intertempo, con proiezione di posizionamento tra i primi cinquanta. Poi lo sganciamento di uno sci, nell'affrontare una porta a sinistra. La voglia di non mollare l'ha portato a riagganciare lo scarpone, l'orgoglio dell'atleta l'ha portato a completare quel muro, tanto bianco quanto terribile, di Sochi. Pazienza per la squalifica per mancanza di continuità nella discesa. L'orgoglio a cui facevamo riferimento non si seppellisce sotto la neve.
Come i sogni di due ragazzi giovanissimi, neofiti della competizione olimpica, che in Corea del Sud – tra quattro anni – sapranno rifarsi.
LP
Minimo comune denominatore delle due gare la sfortuna: Federica Selva è partita convinta, aggressiva, su una neve che neve non era, macinata dalle 87 contendenti scese prima di lei. Visibilità scarsa, manto indecente. La sua Olimpiade è durata appena 6 porte. Nella valigia l'orgoglio di esserci stata, la cattiveria e la voglia di rifarsi – tra quattro anni – a Pyeongchang.
Quella non mancherà neppure a Vicenzo Michelotti: poco più di due secondi e mezzo dall'olimpionico Ted Ligety al primo intertempo, con proiezione di posizionamento tra i primi cinquanta. Poi lo sganciamento di uno sci, nell'affrontare una porta a sinistra. La voglia di non mollare l'ha portato a riagganciare lo scarpone, l'orgoglio dell'atleta l'ha portato a completare quel muro, tanto bianco quanto terribile, di Sochi. Pazienza per la squalifica per mancanza di continuità nella discesa. L'orgoglio a cui facevamo riferimento non si seppellisce sotto la neve.
Come i sogni di due ragazzi giovanissimi, neofiti della competizione olimpica, che in Corea del Sud – tra quattro anni – sapranno rifarsi.
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